Recensione – Lady Macbeth, di William Oldroyd

Pubblicato il 23 Giugno 2017 alle 20:00

Con il suo film d’esordio, William Oldroyd ci regala un’indimenticabile thriller che è un po’ riscatto sociale e parabola amorale.

Un minuto dopo i titoli di coda Lady Macbeth era già entrato con prepotenza nella mia personale classifica dei migliori film del XXI secolo. Tra Kynodontas e La Vita di Adele, volendo precisare con tanto di coordinate.

Se vi aspettate uno spin-off di Macbeth, sappiate fin da subito che il caro bardo inglese William Shakespeare ha poco a che vedere con questo film, che Oldroyd ha invece basato a grandi linee sul romanzo Lady Macbeth of the Mtsensk District, scritto nel 1865 da Nikolai Leskov e pubblicato per la prima volta sulla rivista Epoch, curata da un certo  Fyodor Dostoyevsky.

I parallelismi con la tragedia shakespeariana non mancano, ovviamente: al di là del titolo, infatti, la protagonista dimostrerà di essere disposta a tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo, proprio come la spietata moglie di Re Macbeth (anche la celebre frase “the did is done” verrà citata nel film, ma farà riferimento ad un fatto davvero terribile, al confronto del quale il regicidio sembra una bazzecola).

La profonda differenza fra questa Lady Macbeth e quella di Shakespeare, comunque, risiede nel fatto che non c’è un briciolo di rimorso in Catherine. Nel film di Oldroyd la donna è una figura forte, bellissima, fredda, spietata, e i sensi di colpa ricadranno soltanto sugli uomini. Perché si sa, gli uomini sono dei deboli.

Nell’Inghilterra rurale di fine ottocento, Catherine (Florence Pugh) è soffocata dal matrimonio senza amore che la lega ad un uomo più vecchio, Alexander (Paul Hilton). Trattata come un oggetto tanto dal marito quanto dal padre di lui, Boris (Christopher Fairbank), il vero padrone della casa, Catherine trova una via di fuga dalla sua realtà di prigionia soltanto quando il marito non c’è, e lei è libera di uscire all’aperto e godersi la campagna. Un giorno incontra Sebastian (Cosmo Jarvis), un umile servo di colore che lavora nella tenuta. E la passione che li travolgerà sarà determinante per il destino di chi è intorno a loro.

L’esiguo budget è sfruttato alla perfezione con effetti pratici economici ed efficaci, impeccabili costumi e scenografie precisissime nella ricostruzione storica. Ne viene fuori un’atmosfera più teatrale che cinematografica, con la totale assenza della colonna sonora (fatta eccezione per la scena finale) che contribuisce ad affilare la tensione narrativa (di quanto potesse essere efficace il non-utilizzo delle musiche ne avevo parlato nella recensione del survival-horror Here Alone, e qui ne abbiamo la controprova).

La regia è eccezionale: insieme alla fotografia di Ari Wegner, la cinepresa è austera, simmetrica e immobile e intrappola la protagonista nella rigidità della sua esistenza; poi, nelle scene di concitazione, Oldroyd cambia registro e tutto diventa più frenetico, più passionale, più vorticoso.

E la straordinaria Florence Pugh (al suo secondo film dopo l’esordio in The Falling, al fianco di Maisie Williams de Il Trono di Spade) ci mostra il lato selvaggio e ribelle di una donna-schiava, e la sua interpretazione si fa sempre più ambivalente via via che Catherine si trasforma da rivoluzionaria a terrificante anti-eroina da tragedia Greca.

Lady Macbeth è un dramma, è un thriller, è un noir con tanto di seducente e pericolosissima femme fatale, è un film erotico, è un film di passioni, omicidi e lati oscuri. Un film in cui le donne sono costrette dai loro padroni a camminare a quattro zampe come cani, un film di animali stretti al guinzaglio per troppo tempo, un film in cui la dimensione temporale si misura con il lento imputridire delle carcasse e l’ammontarsi dei cadaveri.

E’ un film perfetto. Un film che avrebbe fatto la gioia tanto di Alfred Hitchcock quanto delle sorelle Brontë. E’ un film che non potete perdervi.

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