Recensione – Una Doppia Verità, di Courtney Hunt

Pubblicato il 15 Giugno 2017 alle 09:00

Keanu Reeves si rasa la barba di John Wick e indossa i panni dell’avvocato difensore per la seconda regia di Courtney Hunt.

Non è riuscito a far breccia nei cuori dei colleghi americani questo secondo film diretto dalla promettente regista di Memphis, e posso anche capire perché. In un momento storico così delicato e colmo di titubanze, tanto a livello sociale quanto a livello politico, è facile che ci sia un rigetto quasi totale nei confronti di un’opera così diretta (intitolata The Whole Truth in originale, “tutta la verità”, chiaro riferimento alla celebre formula “giura di dire tutta la verità, nient’altro che la verità”).

Non che si tratti di un film perfetto, e di certo rappresenta un piccolo passo indietro rispetto all’ottimo film d’esordio, Frozen River, però la Hunt ha inserito tantissime cose degne di nota in Una Doppia Verità, e i suoi 90 minuti sono tanto densi quanto affilati, e filano via tutti d’un fiato.

Richard Ramsey (Keanu Reeves) è l’avvocato dei Lassiter, una rinomata famiglia della Louisiana composta da Boone (Jim Belushi), Loretta (Renée Zellweger) e Mike (Gabriel Basso); proprio quest’ultimo si ritrova processato per l’omicidio del padre e Richard, insieme alla sua nuova assistente Janelle (Gugu Mbatha-Raw), dovrà sbrogliare una matassa fatta di bugie e segreti inconfessabili.

Il concetto shakespeariano di parricidio viene messo alla sbarra e contro-interrogato in un mondo in cui tutti mentono, sfruttando il giuramento solenne di dire “tutta la verità” come una grande scusa (o alibi, per usare un termine più indicato) per nascondere in maniera ancora più efficace le proprie bugie. E’ interessante notare come in questo film ci si difenda non dimostrando di dire la verità, ma smascherando le menzogne altrui.

E’ un pulp/noir molto semplice ma con tanti colpi di scena (e anche un paio di situazioni visivamente scioccanti), quello imbastito dalla Hunt (su una sceneggiatura di Nic Kazan, figlio di Elia Kazan, il genio cinematografico dietro a capolavori assoluti come Fronte del Porto, uno dei miei film preferiti di sempre, e Un Tram Che Si Chiama Desiderio, un altro dei miei film preferiti di sempre): la scelta della regista di puntare tutto sulle performance attoriali risulta vincente, grazie alla buonissima prova di Reeves nei panni dell’indecifrabile Richard e quella di un’irriconoscibile Renée Zellweger, più sensuale ed equivoca che mai.

Inoltre è davvero da lodare il coraggio di affidare una parte così negativa a Belushi, vero e proprio emblema della comicità statunitense, che brilla nei panni del padre padrone severo.

Dopo la Lousiana paludosa, appiccicosa e piena di orrori vista nella prima stagione di True Detective, Una Doppia Verità ci riporta in quell’afoso stato degli Stati Uniti del sud mostrandoci però gli interni aristocratici, le ville di lusso, le feste a bordo piscina.

E le aule dei tribunali, ovviamente. E’ lì che le cose si faranno bollenti sul serio.

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