Spider-Man Il Bambino Dentro | Recensione
Pubblicato il 15 Giugno 2017 alle 10:00
Ritorna un capolavoro assoluto della saga di Spider-Man: Il Bambino Dentro! Chi sono realmente Harry Osborn e il mostruoso Vermin e perché fanno quello che fanno? Scopritelo in questa pietra miliare dei comics scritta da J.M. De Matteis e disegnata da Sal Buscema!
Scrivere questa recensione è arduo perché le storie incluse in questo volume offrono numerosi spunti di riflessione e sviscerarli tutti richiederebbe molto spazio. Chiariamo subito una cosa: Il Bambino Dentro, story-line pubblicata originariamente nei nn. 178-184, 189 e 200 di Spectacular Spider-Man, è un capolavoro assoluto. Scritta dal grande J.M. De Matteis può essere accostata a un altro suo splendido esito creativo, L’Ultima Caccia di Kraven. Lo è non solo per l’intensità della trama, il pathos e la tensione che animano ogni pagina, ma anche per la straordinaria analisi psicologica dei personaggi.
La psicoanalisi, in effetti, gioca un ruolo rilevante. Tramite la dottoressa Ashley Kafka (un cognome significativo), De Matteis scava in profondità nell’animo dei protagonisti della vicenda: Peter Parker, Harry Osborn ed Edward Whelan. Il primo è un supereroe che cerca di agire nel migliore dei modi, assillato dal senso di colpa suscitato dalla morte dello zio Ben. Il secondo è un ragazzo sensibile ed emotivamente fragile, rovinato dalla perfidia del padre, e che ha deciso di seguire la strada di morte e follia del genitore. Il terzo è un bambino sottoposto a orribili esperimenti che lo hanno trasformato in un essere mostruoso. In pratica, parliamo dell’Uomo Ragno, di Goblin e di Vermin.
Potrebbe trattarsi dunque di una classica storia di supereroi ma non è così. Certo, non mancano gli scontri e le lotte ma non sono queste l’elemento predominante. Ciò che interessa a De Matteis è, come ho scritto, esplorare i traumi, i segreti, le pulsioni inconfessabili che tormentano i character. E se tutto sommato Peter Parker, pur affrontando prove terribili, risulta equilibrato, non si può dire lo stesso per Harry/Goblin e Vermin. E ciò spinge De Matteis a occuparsi di un tema scottante, quello dell’abuso sui minori.
Abuso non solo in senso fisico ma anche psicologico. Harry è costretto a crescere con un padre che lo disprezza e distrugge la sua autostima. Diventare Goblin significa accettare un retaggio di patologia che lo porta a compiere azioni orribili, che coinvolgono, oltre all’odiato Peter, la moglie Liz Allen e il figlio Normie. La caduta progressiva di Harry nell’abisso della follia è descritta da De Matteis con un talento indiscutibile ed Harry è davvero spaventoso. Da un lato ti sconvolge con la sua crudeltà, con gli attacchi psicologici ai danni del suo migliore amico Peter, ma dall’altro non puoi non provare compassione per lui, perché vittima di una malvagità orrenda. Harry è il prodotto di una devianza. Agisce in modo discutibile perché è il padre ad averlo reso un individuo discutibile.
Ma Harry non è privo di lati positivi. Emergono di tanto in tanto, soprattutto alla fine, nell’episodio del n. 200 che non può lasciare indifferente nessuno. Sarà proprio in quel contesto, nello scontro finale tra l’Uomo Ragno e Goblin, che l’Harry più umano si rivelerà, con conseguenze tragiche. L’altro protagonista è poi Vermin. Ideato da De Matteis e Mike Zeck in una celebre run di Captain America, in principio sembrava solo un mostro aggressivo creato dagli esperimenti del Barone Zemo.
In realtà, la verità è un’altra, e più orribile. Vermin è un bimbo che ha avuto una vita d’inferno, vittima del maltrattamento degli adulti. Il mostro è semplicemente la rappresentazione esteriore del marciume che si porta dentro. Vermin è un’altra vittima che si esprime con la violenza perché la violenza è l’unica cosa che ha conosciuto. Ci sarà redenzione per lui? E ci sarà redenzione pure per Harry? E l’eroico Peter Parker potrà risolvere la situazione?
De Matteis ci fornisce le risposte scrivendo sceneggiature da manuale. I testi e i dialoghi hanno una profondità e un lirismo magistrali. Sono monologhi che si intrecciano tra loro e inseriscono prepotentemente il lettore nella psiche dei personaggi. Interrompere la lettura è impossibile e la prosa magica di J.M. ha un effetto quasi ipnotico.
Pur concependo una storia adulta nei toni, lo scrittore non dimentica di narrare un’avventura di Spider-Man e rievoca il passato dei personaggi, dimostrando di avere una profonda conoscenza delle gloriose storie di Lee e Conway. Non mancano dunque Mary Jane e Liz che pensano al passato, ai loro trascorsi ingenui e solari, simboli di un’epoca che non potrà più tornare. Ora sono donne adulte, disincantate, lontane anni luce dall’allegria forse forzata di una volta. E si colgono altresì riferimenti a tante vicissitudini che i fan più nerd non potranno non apprezzare.
A Sal Buscema tocca il compito di rappresentare questo disperato universo psicologico. Lo fa con uno stile essenziale, spesso evanescente, elegante. Molti non apprezzano Sal e bisogna dire che, nel corso della sua carriera, ci sono stati alti e bassi qualitativi. Nel caso de Il Bambino Dentro, però, il fratello di John svolge un lavoro impeccabile e il meglio di sé lo dà nelle sequenze meno supereroiche. Le espressioni facciali, in particolare, esprimono le turbolente tempeste emotive che tormentano Peter, Harry ed Edward. Harry, specialmente, fa paura. Ma non bisogna neanche trascurare il dinamismo delle pagine incentrate sull’azione.
Insomma, Il Bambino Dentro, come ho chiarito, è un capolavoro. Non solo una pietra miliare della Marvel e del fumetto americano in generale, ma il simbolo di un’epoca in cui la Casa delle Idee pensava soprattutto alla qualità delle storie e allo spessore degli autori. Ieri l’Uomo Ragno lo scriveva un tipo chiamato J.M. De Matteis. Oggi lo scrive Slott. Non ci abbiamo guadagnato.