Recensione – Netflix – La Ragazza Che Sapeva Troppo
Pubblicato il 12 Giugno 2017 alle 15:25
Netflix porta in Italia il film d’esordio di Colm McCarthy, apprezzato regista della serie tv Peaky Blinders. Basato sul romanzo scritto da Mike Carey (conosciuto dai fan del fumetto americano per il suo lavoro su Lucifer, Ultimate X-Men ed Hellblazer), il film è ambientato in un mondo post-apocalittico popolato dagli zombie: una bambina infetta potrebbe essere la chiave per trovare una cura …
In un momento storico nel quale il panorama dello zombie-movie sembra più saturo che mai, un piccolo film indipendente ci dimostra che c’è sempre qualcosa di nuovo da aggiungere ad un genere cinematografico. Basta avere le idee giuste.
E seppur riecheggiando Romero (impossibile non farlo se si fa un film di zombie) e Danny Boyle (c’è la Londra di 28 Giorni Dopo) Colm McCarthy realizza un film con tante idee, tutte molto giuste: un coming of age in salsa zombie intelligente e sicuro di se, che non ha paura di affrontare con semplicità temi complessi come la responsabilità e la scoperta della propria identità.
La Ragazza Che Sapeva Troppo (nessun legame con l’omonimo caposaldo del giallo all’italiana diretto da Mario Bava nel ’63) racconta la storia di Melanie (Sienna Nanua), una bambina infetta da un fungo che trasforma gli umani in zombie. Melanie vive rinchiusa insieme ad altri come lei all’interno di una struttura di ricerca militare (Logan), dove la dottoressa Caldwell (la sei volte candidata al Premio Oscar Glenn Close) conduce esperimenti sui bambini per trovare un antidoto al fungo
La maggior parte dello staff militare, agli ordini del sergente Eddie Parks (Paddy Considine), tratta Melanie e gli altri bambini con freddezza, più come animali che come persone. L’unica eccezione è incarnata dalla dottoressa Justineau (Gemma Artenton), che col tempo si è affezionata ai bambini (è la loro insegnante) ed in particolar modo a Melanie. Perché Melanie è speciale. Non solo è la più intelligente, la più capace, la più sveglia … è anche la più umana.
E quando la struttura militare verrà compromessa da un’orda di famelici (bella la definizione usata dal film per definire gli infetti) forse sarà proprio Melanie a salvare la dottoressa Justineau. E forse, addirittura, quella bambina infetta sarà l’unica speranza per i pochi sopravvissuti.
Come per i lavori di George Romero, la qualità maggiore del film di McCarthy è sicuramente la cura per i dettagli: il set design, i costumi, il trucco. Per quanto derivativo (ci sono gli zombie che sbattono freneticamente i denti di World War Z, così come le idee del fungo e dell’ambiente urbano ricoperto dalla natura selvaggia vengono direttamente dal capolavoro firmato Naughty Dog The Last of Us) ogni cosa all’interno di questo film sembra spontanea e realistica, e poco importa se a volte il livello della CGI risulta scadente.
In un film del genere è importantissimo stabilire un mondo credibile, per quanto pericoloso e/o affascinante, all’interno del quale far interagire i personaggi: fallendo in questo è impossibile coinvolgere lo spettatore, ma La Ragazza Che Sapeva Troppo riesce bene in questo difficile compito.
Tra citazioni a Mad Max (ben due, una rivolta a Fury Road e un’altra che strizza l’occhio a Oltre la Sfera del Tuono) e a Blade Runner (c’è un dialogo molto simile a quello che faceva Pris nella casa di Sebastian: la bella replicante diceva “Io penso, per tanto sono”, mentre qui Melanie dirà “Io parlo, quindi sono come voi”) il film di McCarthy pesca a piene mani dai capolavori che lo hanno preceduto, ma vanta una personalità forte, distinguibile e riconoscibile, che servirà come riferimento a tutti i piccoli film del genere che verranno in futuro.
In qualche modo è speciale. Come la sua piccola protagonista zombie dall’animo gentile.