Recensione – Twin Peaks: “The Return”, parte tre, quattro e cinque

Pubblicato il 9 Giugno 2017 alle 18:00

“La mucca è saltata sulla luna.”

Ammettetelo: anche voi vorreste nella vostra vita una persona che vi guardi come l’agente Cooper guarda il suo caffè.

Quello è stato sicuramente uno dei momenti più divertenti dei tre episodi di cui parleremo oggi, caratterizzati da una narrazione corale e dal lento evolversi della trama principale che finora si è sviluppa attraverso l’introduzione di nuovi personaggi e un avvicendarsi di situazioni grottesche capitate ai personaggi della serie originale.

Prendiamo l’agente Cooper, ad esempio.

La scena iniziale del terzo episodio è Lynch allo stato puro. Assistiamo alla fuga dell’agente Cooper dalla Loggia Nera – o qualcosa che assomiglia alla Loggia Nera, una specie di purgatorio in cui gli individui che la abitano non parlano al contrario ma si muovono in una sorta di loop – in quella che finora è senza dubbio la sequenza più artistica del nuovo Twin Peaks (si muove nelle torbide acque che segnano il confine fra Mulholland Drive ed  Eraserhead) e al termine della quale riesce a tornare nel mondo reale … ma con risvolti del tutto inaspettati.

E’ logico che la fuga dalla Loggia Nera del Cooper Buono abbia danneggiato il Cooper Cattivo (che aveva preso il suo posto nello storico ultimo episodio della seconda stagione), ma chi è, in nome di Dio, questo altro doppelganger di nome Dougie che se la fa con le prostitute e ha debiti di gioco ed è sposato con Naomi Watts e che ora ospita la coscienza del Cooper Buono?

La sua sola presenza basta a scatenare tutta una serie di situazioni paradossali da commedia degli equivoci in salsa surreale, che dal terzo episodio arriva fino all’epilogo del quinto (e proseguirà sicuramente nelle prossime settimane, almeno fino a quando la coscienza del Cooper Buono non preverrà su quella di Dougie).

Poi: la chiamata che il Cooper Cattivo fa dalla prigione in cui è rinchiuso ha a che fare in qualche misterioso modo con la distruzione istantanea dello strano dispositivo visto a Buenos Aires all’inizio del quinto episodio?

(Comprendo che questo articolo non stia seguendo alcuna logica e continui a balzare da una scena all’altra, ma rendetevi conto dell’incommensurabilità empirica del materiale di partenza e abbiate pietà di noi poveri critici e le nostre gatte da pelare).

Nel quarto episodio, oltre ad essere introdotta la moglie di Dougie, come detto interpretata da Naomi Watts, ritroviamo Bobby, diventato nel frattempo un agente della polizia di Twin Peaks. E’ stata una bella sorpresa, soprattutto considerato che il personaggio di Bobby era uno dei più interessanti nella serie originale (si evolveva completamente da improbabile criminale testa calda a figura positiva).

A proposito di Bobby e della città in cui lavora. Nonostante la serie si chiami Twin Peaks continuiamo a passare pochissimo tempo nella fittizia cittadina dello stato di Washigton: di solito è per fare una capatina alla centrale di polizia e vedere che aria tira da quelle parti (non so voi, ma personalmente ogni volta che Andy e Lucy vengono inquadrati vorrei entrare nello schermo per prenderli a schiaffi: nel 2017, personaggi il cui unico scopo è quello di parodiare le soap americane degli anni ’80, non hanno alcun senso), anche se la storyline di Hawk e del segreto rivelatogli dal ceppo sicuramente diventerà importante fra qualche episodio.

Nel quinto capitolo invece ritroviamo Shelly Johnson (si: Mädchen Amick, che all’epoca della prima serie aveva all’incirca vent’anni, è ancora bellissima) e viene introdotta sua figlia Becky, interpretata da Amanda Seyfried, una ragazza all’apparenza buona e brava ma che sotto sotto ha tantissimo da nascondere (e sposata col poco di buono/buono a nulla Steven).

Compaiono anche Josh McDermitt di The Walking Dead, Ethan Suplee e pure Jim Belushi, nei panni del pericolo gangster che gestisce il casino che il Cooper Buono/Dougie ha ripulito con ben 30 jackpot consecutivi (“Io Mr. Jackpot!”). In pratica, sembra che a Lynch basti fare uno schiocco di dita per avere a disposizione qualunque attore gli venga in mente di usare per i suoi misteriosi, inquietanti, affascinanti scopi.

Perché è David Lynch. E perché questo è il revival di Twin Peaks. Che sicuramente è molto più elitario di quanto fosse lecito aspettarsi alla vigilia e ancor più sicuramente verrà saltato a piè pari dalle nuove generazioni di telespettatori, abituati ad una narrazione molto più coesa rispetto a quella offerta da questa serie, che per certi versi può anche risultare superata.

Ma è David Lynch. E questo è il revival di Twin Peaks. 

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