Cannes 2017 – Netflix – Recensione: “The Meyerowitz Stories”

Pubblicato il 26 Maggio 2017 alle 18:00

Adam Sandler, Ben Stiller e un titanico Dustin Hoffman sono i protagonisti di questa frizzante commedia scritta e diretta dal regista de Il Calamaro e la Balena.

Quello sull’autodistruttiva ma appassionante famiglia Meyerowitz non sarà il miglior film mai diretto da Noah Baumbach, ma è sicuramente il più divertente e, soprattutto, il più umano.

E’ sicuramente il miglior film (finora) nato dalla stipulazione del contratto Adam Sandler-Netflix, che finora ha dato vita a mezzi successi (Sandy Wexler) o a bastardi indegni (The Do-Over). Ho sempre stimato Adam Sandler, e gli ho sempre riconosciuto quel grandissimo talento che lui stesso, per gran parte della sua carriera, si è spesso ostinato a nascondere sotto montagne di commediacce tutte uguali, una più trita dell’altra.

Nel film di Baumbach, finalmente, Adam Sandler torna a fare sul serio, e ci regala la sua miglior interpretazione dai tempi di Ubriaco d’Amore di Paul Thomas Anderson.

In The Meyerowitz Stories (New and Selected) il nostro caro Adam è Danny, il figlio squattrinato di un ex scultore di successo (Dustin Hoffman): aveva talento (e ne ha ancora) nella musica, ma la vita gli è andata in un altro modo e oggi è un genitore divorziato che adora sua figlia Eliza (bellissimo il rapporto fra i due) e vive all’ombra gigantesca e ingombrante del proprio padre.

E’ il primo dei tre fratelli che incontreremo in questo strano film che monta in successione vari episodi della vita di questa stramba (ma estremamente umana) famiglia ebrea-americana, spesso tagliando a metà una scena, come a voler saltare le parti ridondanti (evitando i cliché).

Dopo l’introduzione del personaggio di Danny si passa al resto della famiglia (ogni sequenza, o storia, viene introdotta da una didascalia): Harold (Hoffman), il burbero artista sul viale del tramonto, tutto egocentrismo e poca gentilezza; Maureen (Emma Thompson), la sua quarta moglie, una vecchia hippy che fatica (ma neanche ci prova più di tanto) a lasciarsi alle spalle i problemi di alcolismo; Matthew (Ben Stiller), fratellastro di Danny (Matthew ci tiene a precisarlo in continuazione), figlio favorito di Harold che l’artista ha avuto con la sua seconda moglie; Jean (Elizabeth Marvel), sorella (di sangue, questa volta) di Danny.

Nessuno di loro è a posto. Davvero. Chiunque ha dei problemi in questo film. E tutti insieme (anzi, spesso, tutti contro tutti) vi faranno crepare dal ridere.

Il film costringe questi personaggi a confrontarsi di continuo, a rinfacciarsi le proprie versioni dei fatti, a condividere esperienze presenti e passate. Si riderà, si piangerà, si farà a botte e poi si farà pace. L’invidia e il risentimento lasceranno il campo al perdono e all’affezione, e prima dei titoli di coda sia i protagonisti che gli spettatori troveranno ad attenderli una piacevole speranza agrodolce rivolta al futuro.

Come a dire che, in fondo, c’è sempre tempo per cambiare.

E chissà che la standing ovation di cinque minuti con cui Cannes ha omaggiato il film non sia il preludio per i prossimi Oscar.

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