Il Sacrificio del Cervo Sacro di Yorgos Lanthimos | Recensione

Pubblicato il 27 Maggio 2017 alle 16:25

Dopo The Lobster, Colin Farrell torna anche nel quarto film di Yorgos Lanthimos, che è un’indefinibile opera surreale a metà fra la tragedia greca e la commedia nera.

Ha sconvolto il Festival di Cannes The Killing of a Sacred Deer, nuova opera del surrealista greco Yorgos Lanthimos. All’arrivo dei titoli di coda la sala si è riempita per la maggior parte di applausi, che hanno seppellito i timidi cori di buuu, ma soltanto perché chi avrebbe fischiato aveva già abbandonato la propria poltroncina ed era uscito di corsa dalla sala dopo la prima mezz’ora.

E’ questo l’effetto Lanthimos: il ragazzone di Atene dal viso solare e la mente contorta riesce a far sorridere e a scioccare contemporaneamente.  Non tutti riescono a reggere la dicotomia del suo cinema, ma se amate il surrealismo allora attualmente non esiste un cinema migliore del suo in tutto il mondo.

Dopo l’ottima interpretazione in The Lobster, Colin Farrell si supera nuovamente nei panni di Steve Murphy, rinomato chirurgo dalla vita perfetta: Steve è sposato con la bellissima Anna (Nicole Kidman), ed è padre di due bellissimi figli, la più grande Kim (Raffey Cassidy) e il più piccolo Bob (Sunny Suljic). Inoltre, qualche mese prima degli eventi del film, Steve ha preso sotto la sua ala protettrice Martin (Barry Keoghan, che ritroveremo fra qualche mese in Dunkirk di Christopher Nolan), un adolescente poco più grande di Kim che vive con la madre disoccupata.

Ma qualche oscura forza sta per abbattersi su Steve, e molto presto il chirurgo si ritroverà costretto ad affrontare un mostruoso dilemma morale che lo metterà di fronte ad una terribile scelta: uccidere un membro della sua famiglia per salvare tutti gli altri.

A differenza di The Lobster e dell’ancor più bello Dogtooth (film d’esordio che nel 2009 venne nominato all’Oscar per il miglior film straniero) la premessa orchestrata in sceneggiatura da Lanthimos e dallo storico collaboratore Efthymis Filippou non è troppo elaborata: siamo in un mondo riconoscibilissimo, un mondo che potrebbe essere il nostro (nessuno rischia di essere trasformato in un animale nel caso in cui non riuscisse a trovare l’amore) e questo elemento narrativo è fondamentale per accrescere l’aura di spiazzante terrore che andrà in crescendo per tutto il film.

Il film richiama vagamente le atmosfere equivoche della tragedia greca Ifigenia in Aulide, del drammaturgo Euripide, nella quale le barche dirette verso Troia erano bloccate dalla bonaccia e l’unica soluzione per evocare i venti e salpare era quella di sacrificare alla dea Artemide la giovane Ifigenia, figlia di Agamennone. In The Killing of Sacred Deer ovviamente viene riproposto il tema del sacrificio, ma mentre in Euripide Ifigenia doveva morire per la sete di gloria del padre, qui il paradosso è ancora più beffardo perché Colin Farrell sarà costretto ad uccidere per salvare le vite di chi ama (fantasioso ossimoro fra vita e morte).

Farrell fa un lavoro splendido nell’incarnare tutta l’inutilità del suo personaggio, questo povero uomo di scienza completamente disarmato da questa sorta di inspiegabile malocchio che ha colpito i suoi cari. L’interpretazione della Kidman richiama i fasti dei suoi migliori lavori (Dogville, The Hours, The Others, Eyes Wide Shut), brillando nei tantissimi primi piani che Lanthimos le riserva, durante i quali l’attrice suggerisce senza mai rivelare del tutto. Folgorante il giovane Keoghan nel ruolo più difficile del film.

E’ un film che gioca fra comicità e orrore, i due capisaldi della poetica di Lanthimos: non è tanto una comicità divertente, però, quanto una disarmante, e l’orrore non vuole spaventare ma mettere a disagio. E il film riesce a fare entrambe le cose alla perfezione.

Mentre la steady cam segue i protagonisti lungo i corridoi (Kubrick) e la disturbante colonna sonora, che propone composizioni di musica classica (ancora Kubrick) distorte e riarrangiate, vibra nei nostri cuori attraverso ogni scena, non riuscirete a staccare gli occhi dallo schermo nonostante le numerose, ambigue ed inquietanti stranezze che vi ritroverete ad osservare. E uscirete dalla sala dopo pochi minuti, oppure applaudirete al comparire dei titoli di coda.

E’ questa la magia del cinema, signore e signori. E’ questa la magia di Yorgos Lanthimos.

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