Recensione – American Gods 1×04: “Git Gone”
Pubblicato il 25 Maggio 2017 alle 15:00
“Porterò a termine il mio compito e ti porterò nell’oscurità.”
Di ritorno dall’incontro con Neil Gaiman al Festival di Cannes (insieme all’autore inglese abbiamo assistito alla prima mondiale di How To Talk To Girls At Parties, film di John Cameron Mitchell tratto dal racconto breve che Gaiman ha incluso nella raccolta Cose Fragili: nelle prossime ore pubblicheremo la recensione del film) si ritorna alle atmosfere fantasy-mitologiche di American Gods.
Dopo che nei primi tre episodi dello show abbiamo seguito la storia di Shadow e ci è stata data l’opportunità di fare la conoscenza di nuovi e vecchi dei, Bryan Fuller e Michael Green mettono in pausa l’incedere degli eventi con Git Gone, puntata che ci racconta la storia dal punto di vista di Laura Moon.
Fin dai primi istanti dell’episodio è chiara la volontà degli showrunner: quella di spogliare il personaggio di Laura da tutti i pregiudizi con i quali il pubblico, che l’aveva vista esclusivamente attraverso gli occhi di Shadow, l’aveva approcciata.
La vera Laura Moon non è la donna perfetta e ideale che Shadow pensava che fosse, e che sperava di ritrovare una volta uscito di prigione; Laura Moon è una donna come tante altre, con pregi e difetti, forte e fragile, il cui cuore è decisamente più pesante di una piuma (bellissima la scena con Anubi).
Discostandosi da quella che è la formula della serie – prologo su una divinità specifica, scene con Shadow e Wednesday, intermezzo su un’altra divinità, ritorno a Shadow e Wednesday fino al finale – Git Gone ci presenta Laura come una donna infelice che attraversa la propria grigia vita giorno dopo giorno senza viverla davvero.
La metafora della morta vivente che sta sprecando la sua vita fa il giro completo quando Laura torna inspiegabilmente in vita per salvare quella di Shadow (è stata lei a fermare l’impiccagione vista nel primo episodio): il modo in cui il regista di The Leftovers Craig Zobel racconta la sua storia permette al pubblico di relazionarsi col personaggio fin dalle primissime battute, quando la sua depressione esistenziale assume quasi una natura poetica.
Non ci viene detto esplicitamente, ma è chiarissimo che Laura, nonostante questo grande vuoto emotivo interiore, vuole sentirsi viva in qualunque modo: ecco perché si fa trattare male durante l’intimità, ecco perché decide di rapinare il casinò, ecco perché non riesce ad aspettare che Shadow sconti la sua pena.
Ironicamente è solo dopo la morte che troverà il desiderio di vivere, e soprattutto uno scopo per cui vivere: proteggere Shadow Moon (ombra/luna), che paradossalmente è diventato la sua luce/il suo sole.
Questa sorta di secondo episodio pilota riavvia la serie approfondendo il personaggio di Laura, molto più di quanto avesse fatto Gaiman nel romanzo originale. Lodevole il lavoro di Emily Browning, che sfrutta il suo corpo per mostrarci in pochi secondi di inquadratura dettagli sui quali Gaiman si soffermava per interi paragrafi (la putrefazione del corpo su tutti).
E’ interessante notare come, dopo aver visto la Laura di questo episodio, la vera Laura, siamo venuti a conoscenza di una grande verità: e cioè che Shadow non ha mai conosciuto davvero la donna che ama, e per la quale è andato in prigione.
Infine l’incontro-scontro fra Laura e la sua migliore amica Audrey è sicuramente la scena più divertente della serie finora.