Wonder Woman: (im)perfetta icona femminista

Pubblicato il 30 Maggio 2017 alle 12:25

Perché avere Wonder Woman oggi sul grande schermo è così fondamentale?

Le donne oggi sono troppo spesso protagoniste delle pagine di cronaca dei quotidiani o dei titoli dei telegiornali non solo per episodi di aberrante violenze ma anche per episodi legati ai movimenti di emancipazione in paesi dove la parità non è ancora un concetto del tutto acquisito se non addirittura rifiutato.

Non riuscirei ad immaginare momento storico migliore per portare Wonder Woman sul grande schermo momento in cui c’è necessità di offrire un archetipo femminile differente, incredibilmente forte ed autorevole, ma al tempo stesso capace di travalicare sia le sue radici storiche sia le sue istanze prettamente femministe diventando universali ed attuali.

Ci sono due aspetti nella genesi dell’eroina che è importante rimarcare: la verità, come concetto assoluto, e la corporeità.

William Moulton Marston, creatore di Wonder Woman, era ossessionato dalla verità, non per altro fu inventore del poligrafo conosciuto comunemente come “macchina della verità”; la ricerca della verità, spogliata dei suoi intenti più morbosi, era per Marston indagine su una società ed una cultura che avevano iniziato una rivoluzione che avrebbe portato a rivalutare non solo il ruolo della donna ma una serie di gerarchie sociali, istituzionali e famigliari in cui l’uomo, fino ad allora centro di gravità, avrebbe ceduto il passo alla donna in una contrapposizione fra un modello votato allo scontro ed uno votato all’armonia.

Vi erano senz’altro idee più che progressiste nelle convinzioni di Marston, che le applicò in prima persona e viveva con una famiglia allargata cosa assolutamente fuori dall’ordinario per l’epoca, ma come si tradussero poi nel personaggio?

Uno degli aspetti più singolari degli esordi di Wonder Woman era il…bondage! Si avete letto bene: Marston ed il disegnatore H.G. Peter non perdevano occasione per ritrarre l’eroina legata nei modi più disparati e fantasiosi. Tralasciando le considerazione superficialmente piccanti, che tuttavia ne decretarono la popolarità soprattutto con i soldati al fronte, l’idea della costrizione – cioè di un controllo sociale e delle limitate opportunità del tempo – era lo strato culturale dal quale il personaggio si elevava: rompendo le “catene” Wonder Woman, simbolo delle donne, si riappropriava della libertà, prendeva controllo e coscienza di sé anche e soprattutto da punto di vista sessuale, d’altronde il bondage è una pratica che fa prettamente riferimento alla sfera sessuale, proponendo un altro tipo di “coercizione” benevola e veritiera questa volta e data dal Lazo of Truth l’arma che contraddistingue l’Amazzone e che costringe chi vi rimane imbrigliato a dire la verità.

E’ facile comprendere come questo arsenale di idee sia stato metabolizzato dal movimento femminista il quale lo difese strenuamente soprattutto quando la DC Comics alla fine degli anni ’60 “spogliò” Diana del suo retaggio mitologico riconsegnandola in versione super-spia e karateka con una sciagurata – per sua stessa ammissione – idea di Dennis O’Neil. A scomodarsi fu addirittura Gloria Steinem, una delle più famose attiviste del movimento, che decise di mettere Wonder Woman, nella sua versione classica, sulla copertina del primo numero di Ms Magazine adducendo come motivazione che l’eroina era il simbolo indiscutibile del concetto di “women empowerment “.

Ma Wonder Woman è una icona imperfetta del femminismo perché lo travalica, vi passa attraverso, ed i suoi valori si attualizzano ed universalizzano.

Le origini di Wonder Woman sono semplici e rimarranno grossomodo le stesse per tutti i 75 anni di storia del personaggio: Diana, figlia della regina delle Amazzoni, viene scelta come ambasciatrice per riportare il militare americano Steve Trevor precipitato su Themyscira o Isola Paradiso, utopica patria sospesa nel tempo delle Amazzoni, nel mondo patriarcale, cioè quello degli uomini.

Rivisitando idealmente il Mito della Caverna di Platone, vi rimando qui se volete approfondire, Steve Trevor è “l’ombra” di un mondo al di là di Isola Paradiso, Diana ne è ovviamente incuriosita e nel momento in cui, disobbedendo alla madre, partecipa alle gare per diventare la campionessa di Themyscira e “scortare” Trevor in quel mondo si evidenza la prima peculiarità del personaggio.

E’ proprio nella natura della “missione” che si consuma la differenza fra Wonder Woman e l’altra icona di casa DC Comics ovvero Superman: da un lato Wonder Woman è di fatto una ambasciatrice nel mondo patriarcale dall’altro l’eroe kryptoniano è percepito invece come una figura messianica. Wonder Woman si prepone l’obbiettivo di farsi portavoce di un “modello sociale” diverso, basato sull’armonia, Superman è il campione della giustizia, verità e stile di vita americano; fra i due quindi sembra instaurarsi una dicotomia di natura contro cultura.

Ma come effettivamente Wonder Woman promuove il suo messaggio? Attraverso l’Azione cioè Diana varca i confini di Isola Paradiso, diventa Wonder Woman e fa esperienza di un mondo e adattando un espressione cara al filosofo Martin Heidegger decide “di essere piuttosto che niente” non vi è cioè un atteggiamento passivo nei confronti del mondo patriarcale quanto la volontà di intenzionare – cioè dare senso, mettere ordine –  la realtà attraverso azioni concrete, scelta dopo scelta anche se queste non dovessero portare ad esiti “positivi”; Wonder Woman allora è il prototipo di quello che Jean-Paul Sartre chiamava “essere-per-sé” cioè un individuo che si determina di volta in volta.

Come poi l’eroina faccia “esperienza del mondo” è di per sé una affascinante digressione, che segue sempre Sartre, e che ha al suo centro l’idea del corpo “come condizione necessaria per fare esperienza”. Non c’è un rifiuto del corpo né l’idea di rinunciare a quello che si è: Diana mostra i suoi muscoli ma anche il suo seno, le sue gambe, la sua chioma fluente e non è coperta da nessuna armatura – a meno di casi davvero eccezionali – questo perché il confronto con il mondo è inteso come totale apertura.

Ecco palese la seconda peculiarità del personaggio che si contrappone all’altra icona DC Comics ovvero Batman che rappresenta la brutalità di un mondo “privo di senso”, sempre seguendo le definizioni di Sartre, ed è una risposta che si uniforma a quel modello, diciamo maschile, che citavamo ad inizio articolo e che Wonder Woman vuole rovesciare.

E’ facile notare allora come l’idea di un mondo “caotico” e dominato da una spirale di violenza sia oggi ancora più portata alle sue estreme conseguenze dagli scenari di guerre, dagli atti terroristici fino alle emergenze di intere popolazioni in fuga.

In Wonder Woman cioè manca quel senso di contrapposizione di cui invece gli archetipi maschili sembrano innati portatori.

Questo portò la scrittrice Gail Simone ad affermare:

Se devi fermare un asteroide chiami Superman. Se devi risolvere un mistero chiami Batman. Ma se devi finire una guerra chiami Wonder Woman.

E’ questo il senso dell’affermazione, reiterata in ogni epoca, che Wonder Woman “ama tutti indistintamente”. E’ un messaggio fortissimo e deflagrante: già Hegel aveva intuito la potenza dell’amore come “antitesi a tutte le opposizioni e molteplicità non avendo confini di diritto”.

Wonder Woman è l’eroina che serve in questo momento. Non un messia, non un crociato incappucciato ma qualcuno che ci faccia meravigliare – to wonder in inglese appunto – del fatto che ci possa essere un altro “punto di vista” sulla realtà partendo da noi stessi.

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