Sette minuti dopo la mezzanotte – Recensione
Pubblicato il 20 Maggio 2017 alle 23:08
La vita non è facile per Conor, un bambino emarginato e vittima dei bulli che si rifugia nel disegno e nella fantasia. Sua madre, divorziata, è malata di cancro terminale e Conor ha un pessimo rapporto con la nonna autoritaria. Un giorno, il bambino riceve la visita di un mostruoso albero vivente che gli racconterà tre storie. In cambio, Conor dovrà raccontargli la verità su se stesso e i suoi incubi.
Sembra proprio che una delle migliori tappe per giungere a quei blockbusters con mostri tanto giganteschi quanto i rispettivi budget sia quella di trattare gli stessi mostri in film più piccoli, produzioni indipendenti, storie intimiste in cui il sottotesto e la valenza metaforica dell’elemento fantastico assumono un ruolo fondamentale e il valore propedeutico dei racconti in questione serve ai registi stessi per prepararsi alle sfide future.
Si pensi a Guillermo del Toro, giunto ai robot e ai kaiju di Pacific Rim passando per Il Labirinto del Fauno, o a Gareth Edwards che ha messo creature aliene sullo sfondo di Monsters concentrandosi sull’elemento umano per poi rovesciare il concetto in Godzilla. Allo stesso modo, lo spagnolo J.A. Bayona è giunto ai dinosauri di Jurassic World 2 occupandosi prima di Sette minuti dopo la mezzanotte (titolo italiano di A Monster Calls), scritto da Patrick Ness, autore anche del romanzo originale, nato a sua volta da un’idea della scrittrice inglese Siobhan Dowd che non ha potuto realizzarne la stesura personalmente a causa della malattia terminale che l’ha portata via nel 2007.
Lo stesso male affligge la madre del piccolo Conor, una dolcissima Felicity Jones (Rogue One: A Star Wars Story), costringendo il figlio a rifugiarsi nel mondo del disegno e della fantasia per sfuggire all’opprimente realtà che lo circonda. In tal senso sceneggiatore e regista s’insinuano nelle pieghe dell’animo umano con rara sensibilità e sincerità rendendo dolorosamente credibile ogni fase del percorso del protagonista, lo straordinario quattordicenne Lewis MacDougall, nella sua emarginazione, nei violenti sfoghi di rabbia, nel senso di colpa, nel rapporto conflittuale con il padre assente (Toby Kebbell, il dr. Doom de I Fantastici Quattro) e con la nonna autoritaria, una Sigourney Weaver di un’intensità devastante.
Il saggio albero vivente con la voce di Liam Neeson è l’amico immaginario nel quale Conor proietta speranze e paure, figura genealogica che funge da supplente delle figure genitoriali. Il mostro, benevolo e severo, racconta tre storie propedeutiche, metafore della condizione del bambino, due delle quali rese in suggestivi acquerelli animati, che lo aiutano nel difficile rito di passaggio da affrontare verso la maturazione e una miglior comprensione di se stesso. La lama affonda fino al manico, la fiaba ha un finale amaro, commovente ma onesto, il pubblico non ne esce atterrito ma rafforzato.