Scappa – Get Out – Recensione
Pubblicato il 22 Maggio 2017 alle 22:40
Chris, un giovane afroamericano, si reca con la sua fidanzata Rose, una ragazza bianca, in visita ai genitori di lei, il neurochirurgo Dean e l’ipnoterapista Missy. I coniugi ostentano un atteggiamento accomodante nei confronti della relazione interrazziale della figlia mentre Chris trova disturbante il comportamento eccentrico dei due domestici neri.
Prendete Indovina chi viene a cena?, calatelo in un contesto grottesco e satirico simile a quello del romanzo La Fabbrica della Mogli di Ira Levin (conosciuto in Italia anche come La donna perfetta, trasposto due volte sul grande schermo), aggiungeteci un pizzichino di Non aprite quella porta e avrete l’opera prima, in veste di regista, di Jordan Peele, già noto come attore comico. Il successo di critica e pubblico che Scappa – Get Out sta riscuotendo in tutto il mondo sta già rendendo Peele uno dei registi più richiesti di Hollywood (era in lizza per dirigere il live-action di Akira) oltre a rappresentare l’ennesima scommessa vinta da Jason Blum, produttore di remunerativi horror a basso budget, da Paranormal Activity all’ultimo Split di Shyamalan.
Peele ha ideato il film durante il primo mandato di Obama, quando si pensava che un Presidente nero alla Casa Bianca avrebbe portato ad una maggiore emancipazione degli afroamericani. Negli ultimi anni, però, abbiamo assistito ad un’escalation di violenza nei confronti dei neri d’America e al rigurgito conservatore che ha portato all’elezione di Trump. La critica del film all’ipocrisia liberale dell’upper class a stelle e strisce è quindi attualissima.
Il tono surreale del racconto, l’atmosfera straniante nella sua normalità, l’atteggiamento sinistro eppure riconducibile dei personaggi costituiscono gli elementi disturbanti per il pubblico. Vengono disseminati strada facendo una serie di indizi per la risoluzione del mistero che risulteranno più comprensibili col senno di poi ad una seconda visione. Ci si domanda se stia succedendo davvero qualcosa di sinistro o se si tratti solo della paranoia del protagonista, soluzione questa che avrebbe potuto essere altrettanto suggestiva.
La terribile verità che viene a svelarsi è talmente demenziale che Peele fa autoironia con la sequenza d’alleggerimento che vede Lil Rel Howery, nel ruolo del miglior amico di Chris, tentare di spiegare la situazione alla polizia.
Gli ultimi venti minuti sono puramente ludici. La lotta per la sopravvivenza di Chris non scade nell’exploitation anche se il divieto ai minori lo permetterebbe e la maggior parte dei dettagli gore vengono lasciati fuori campo. Nell’epilogo, la back-story del protagonista si sovrappone in maniera piuttosto forzosa con la linea narrativa principale ma nulla toglie al valore di un’opera provocatoria e necessaria.