Vivi e Vegeta di Francesco Savino e Stefano Simeone | Recensione

Pubblicato il 16 Maggio 2017 alle 10:00

Un noir dai contorni esistenziali e soprannaturali, in cui fiori e piante sono i protagonisti assoluti e gli umani quasi una leggenda metropolitana.

Bao Publishing è da sempre una casa editrice attenta alla produzione web comic, pubblicando quello che è stato il vincitore dei Premi Micheluzzi 2017 in questa categoria ovvero Aqualung, ed ovviamente non si è lasciata sfuggire questo particolarissimo Vivi e Vegeta del duo Francesco Savino – testi – e Stefano Simeone – disegni e colori – che viene riproposto in volume.

Carl è un cactus del deserto che viene a cercare la donna della sua vita, una pianta grassa giornalista recentemente svanita nel nulla nella città dei fiori, dove le piante non sono viste di buon occhio.

Il sottotitolo “Un Noir Vegetariano” trae in inganno perché effettivamente questa storia parte come il più classico dei noir con il cactus Carl impegnato nella ricerca della fidanzata scomparsa Nora ma nasconde delle riflessioni più profonde che Savino è abile nell’introdurre con tempismo perfetto scoprendo le proverbiali “carte” un po’ per volta.

C’è il tema del razzismo in una società divisa fra fiori e piante, che vivono in due distretti separati, e che si odiano perché non si “capiscono” e questa ignoranza è il filo conduttore che lega idealmente un po’ tutti i personaggi dal protagonista Carl a quelli secondari. Raramente infatti si trova un fumetto i cui personaggi maturino, nel senso di prendere conscienza di sé, così velocemente.

C’è il tema della verità perché man mano che il mistero sul fato di Nora viene dipanato, i personaggi scoprono la verità su sé stessi: Carl ad esempio trova una forza prima celata da ingenuità e timidezza – con il disegnatore Simeone che si esalta nel modificare l’aspetto del cactus da pacifica pianta del deserto a minacciosa pianta spinata.

Ed infine c’è il tema dell’ appartenenza che trova compimento della storia dei due girasoli che terrorizzano il distretto dei fiori e la rivelazione sul loro tragico passato ma che è anche legata all’idea “Siamo quello che mangiamo” – titolo del penultimo capitolo del libro – e che utilizza la cucina vegetariana come metafora per “spiegare” la “natura” del genere umano seppur filtrato dalle parole e dall’aspetto di fiori e piante antropomorfizzate.

Quella che Savino imbastisce quindi è una storia complessa e tutt’altro che scontata che pecca forse un pochino nella parte centrale cioè quando gli avvenimenti prendono velocità ma non vengono supportati da un maggiore approfondimento su alcuni attori della vicenda e sulle loro motivazioni.

Il finale poi è tragico e aperto lasciando presagire che il team creativo ritornerà su questa storia per riprendere non solo la storia di Carl ma anche altri fili lasciati volutamente in sospeso nel corso della storia.

Il plot e le riflessioni di Savino si concretizzano nelle personalissime matite di Stefano Simeone che riesce non solo ad antropomorfizzare benissimo fiori e piante, prendendone le caratteristiche botaniche rendendole tratti distintivi di ogni personaggio, ma anche a curare molto bene le atmosfere utilizzando molto sapientemente i colori con una paletta fatta di verdi e gialli ma anche di blu e viola, quando negli ultimi capitoli le vicende stanno raggiungendo il climax.

Il tratto è sì stilizzato e mai confuso grazie ad un costruzione della tavola concisa ed inquadrature puntuali che si allargano per le scene d’azione.

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