King Arthur – Il Potere della Spada, di Guy Ritchie – Recensione in anteprima

Pubblicato il 10 Maggio 2017 alle 09:50

Una rivisitazione visivamente spettacolare dal sapore pop e mistico della storia che tutti conosciamo.

Se c’è un aggettivo che si può associare al regista Guy Ritchie quello è stiloso. King Arthur – Il Potere della Spada (in originale King Arthur – Legend of the Sword) non fa eccezione e si infila sapientemente nel canone iniziato con Lock & Stock – Pazzi scatenati (o per meglio dire con Snatch – Lo Strappo). Dopo aver rivisitato il rock’n’roll, il personaggio letterario di Sherlock Holmes, le spie televisive di Operazione U.N.C.L.E. in chiave postmoderna, Ritchie decide di riscrivere a modo suo la storia di Re Artù, di Excalibur e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Se gli esperimenti precedenti risultavano convincenti, in questo c’è qualcosa che stona.

Visivamente il risultato è una gioia per gli occhi: la qualità degli effetti speciali e del 3D è qualcosa di encomiabile, soprattutto nelle scene d’azione e di battaglia. Lo scontro finale fra Artù e Re Vortigern lascia senza fiato per la potenza visiva quasi videoludica con cui riesce a catturare l’occhio dello spettatore e a non farlo distrarre mai.

Dal punto di vista narrativo, invece, Ritchie decide di imprimere sulla storia che tutti (più o meno) conosciamo un’aura di misticismo, degna del Signore degli Anelli e ancor di più di Game of Thrones. Tanto che da quest’ultimo pesca anche un attore: Aiden Gillen, nei panni per una volta non del subdolo Ditocorto ma del campione di tiro con l’arco Grasso D’Oca – i personaggi con soprannomi gli piacciono proprio, è evidente.

Una componente magica, dicevamo, a cui la storia certamente si presta, si pensi alle varie rappresentazioni cinematografiche e televisive di Merlino e soprattutto del potere che lega Excalibur a chi è destinato a impugnarla.

Eppure qui l’utilizzo rasenta l’esaltazione religiosa, andando a pescare dalla “notte oscura e piena di terrori” per esprimere tanto i poteri del Bene e di chi sta dalla parte di Artù quanto per contraltare la magia da cui è dipendente Re Vortigern.

Quest’ultimo è interpretato da un sempreverde Jude Law intriso della cattiveria di Pio XIII e potremmo dire dello stesso fanatismo, dopo aver fatto letteralmente un patto col diavolo. È proprio questa componente a risultare forse eccessiva, appesantendo in alcuni punti la narrazione e facendo sembrare le due ore di film qualcosa di più.

Charlie Hunnam dà volto, muscoli e badassitudine a Artù – Art per gli amici, tocco di moderna bromance tipica di Ritchie – e lo fa in modo convincente, soprattutto nella parte comedy che caratterizza i personaggi del cineasta, che non si prendono mai troppo sul serio e questo li rende ancora più cool. Tutto è postmoderno e pop negli universi narrativi di Guy Ritchie: ogni cosa è dark eppure colorata, è introspettiva eppure non ha paura di mostrarsi, anzi ne ha bisogno. Forse è questo ciò che manca maggiormente al film: una spalla che tenga testa a Hunnam/Artù e che lo guidi per davvero lungo la pellicola al posto della combriccola formata da Djimon Hounsou, Gillen & Co.: in questo un Jude Law versione Merlino – piuttosto che villain – sarebbe stato perfetto.

Ma giustamente non è questa la storia che Ritchie voleva raccontare: lui preferisce pescare dai libri di storia per rimescolare un po’ le carte, non tradendo mai il carattere dei protagonisti e la loro evoluzione. Merlino viene nominato ma non si vede mai, i maghi sono stati banditi e non convivono più pacificamente coi babbani (scusate, quello era un altro film ma la situazione è la stessa). Tutto per volere del Re e in conseguenza di ciò che ha fatto per ottenere il Trono.

Il regista preferisce quindi concentrarsi su Artù e sull’essere destinato suo malgrado a un carico di responsabilità grande quanto una nazione: un ragazzo povero cresciuto come figlio di una prostituta che scopre di essere in realtà colui che estrarrà la Spada dalla Roccia e porterà la pace in Inghilterra. Hunnam veste bene il peso di un tale destino e le fasi – dalla negazione alla finale accettazione, a modo suo ovviamente – del protagonista.

Inedito per Ritchie è anche l’utilizzo di repentini e continui salti temporali, brevi frammenti di ciò che è stato e ciò che sarà, scampoli che lo spettatore ricostruirà solo in un secondo momento, visioni che rappresentano ancora una volta il carattere magico di questa storia e contribuiscono a dare ritmo. Con King Arthur – Il Potere della Spada Ritchie non vuole sottrarsi a dare spettacolo e soprattutto non vuole sottrarlo al proprio pubblico.

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