Alien: Covenant – Recensione

Pubblicato il 15 Maggio 2017 alle 23:21

Anno 2105. L’astronave USCSS Covenant è in missione di colonizzazione verso il pianeta Origae-6. Quando una tempesta di neutrini investe la nave causando enormi danni, l’androide Walter è costretto a svegliare dal criosonno parte dell’equipaggio. Durante le riparazioni, la Covenant intercetta una trasmissione radio da un pianeta vicino. Guidato dal primo ufficiale Oram, parte dell’equipaggio si reca ad investigare e scoprirà il terribile fato della USCSS Prometheus.

E fu così che Ridley Scott, il creatore di Alien, giunse a creare l’ibrido, una via di mezzo tra il film originale e Prometheus, col quale ha dato il via cinque anni fa alla saga prequel del franchise. Scott è tornato ad impadronirsi del suo xenomorfo dopo averlo lasciato in affidamento a registi che lo hanno trattato più o meno bene in una parabola discendente terminata nelle due scazzottate kitsch con Predator.

Con Prometheus, Scott ha voluto alzare il tiro passando dalla semplice struttura dell’horror claustrofobico originale ad una fantascienza più impegnata, filosofica, addirittura metafisica. Come prendere La Cosa di John Carpenter e farne un prequel tendente più a 2001: Odissea nello spazio. L’esperimento è fallito. Prometheus non ha incontrato il favore del pubblico e della critica, vuoi per la maldestra sceneggiatura di Damon Lindelof (che, in quanto a pasticci di script, se la gioca con David Goyer), vuoi perché l’assenza dello xenomorfo in un prequel di Alien ha scontentato i fan.

Ma Scott ha perseverato, si è rimboccato le maniche e ha deciso di proseguire col suo progetto prequel, che dovrebbe essere costituito da una quadrilogia, bloccando sul nascere l’Alien 5 (o Alien 3 alternativo) di Neill Blomkamp (che avrebbe riportato in vita personaggi iconici come Ripley e Newt con il rischio di assumere il sapore artefatto del reboot-revival-remake nostalgico sull’impronta de Il Risveglio della Forza).

Tuttavia, il fan service del nuovo episodio è evidente fin dalle prime battute. Il termine ‘Alien’ torna nel titolo, le linee narrative lasciate in sospeso in Prometheus vengono risolte in tutta fretta. L’unico superstite è Michael Fassbender, manna per il botteghino, al quale viene raddoppiato il ruolo e le sue digressioni di natura filosofica, spesso pretenziose, rimandano all’altro capolavoro di fantascienza del regista, Blade Runner.

Si torna quindi sui sentieri risaputi e collaudati dell’originale. Katherine Waterstone raccoglie, da Sigourney Weaver prima e da Noomi Rapace poi, il testimone dell’antieroina androgina mentre gli altri membri dell’equipaggio sono caratterizzati in maniera monodimensionale, figli di una sceneggiatura che, pur firmata da autori diversi, incappa in alcuni degli stessi errori di Prometheus. I fan avranno da ridire sulle incongruenze nel ciclo vitale dello xenomorfo.

Il mestiere e la cifra stilistica di Scott emergono nella parte più ludica del film che concede ai fan quello per cui hanno pagato il biglietto. La carneficina dello xenomorfo esplode in tutta la sua gloria sanguinosa ma è appunto il regista che ripete se stesso. I sequel di Alien, tra alti e bassi, erano stati tutti, a modo loro, variazioni sul tema con una propria distinta autorialità. Alien: Covenant, invece, prosegue sottovoce, in maniera timida, il discorso di Prometheus e propina un semplice rimpasto di ciò che è stato, gioca sul sicuro e non apporta alcuna autentica innovazione alla saga.

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