Recensione – American Gods 1×01: “The Bone Orchard”
Pubblicato il 2 Maggio 2017 alle 16:00
“Che giorno è oggi? Mercoledì? Di certo è il mio giorno fortunato, perciò puoi chiamarmi Wednesday.”
Il best-seller fantasy-mitologico scritto da Neil Gaiman nel 2001 è finalmente diventato una serie tv grazie agli showrunner Bryan Fuller (Heroes, Hannibal) e Michael Green (Logan, Blade Runner 2049, Alien: Covenant).
E’ inutile sottolineare le tante difficoltà di trasporre sul piccolo schermo un’opera tanto complessa, ma lavorando a stretto contatto con Gaiman i due autori sono riusciti a confezionare un prodotto che non solo rimane strettamente fedele al romanzo, ma fin dalle primissime scene mostra un’anima propria, che lo distingue da qualsiasi altro prodotto televisivo.
Shadow Moon sta scontando una pena di sei anni in un carcere di massima sicurezza per aggressione e lesioni aggravate: dopo tre anni di prigionia, uno sconto della pena gli consentirà di uscire entro cinque giorni, per poter finalmente riabbracciare la sua amata moglie Laura.
In sogno la vede dormire tranquilla in un enorme letto, con le mani giunte al petto, e al suo risveglio Shadow viene convocato nell’ufficio del direttore. Ad attenderlo ci sono una buona e una cattiva notizia: quella buona è che verrà rilasciato oggi stesso, e non fra cinque giorni; quella cattiva è che verrà rilasciato in anticipo perché sua moglie è morta.
Ma sul volo che lo riporterà a casa, Shadow farà la conoscenza di un misterioso ed eccentrico truffatore che sembra sapere tutto di lui, e che è anche pronto ad offrirgli un lavoro.
Questa era la trama del romanzo del grande Neil Gaiman (il mio libro preferito insieme a Il Vecchio e il Mare di Hemingway) e di conseguenza The Bone Orchard, primo episodio della serie tv American Gods, parte proprio da questa premessa. Dirvi di più sarebbe un peccato, e in una storia popolata da dei vecchi e nuovi i peccati possono costare cari.
Visivamente American Gods gode delle abilità che Fuller aveva già mostrato in Hannibal, ma amalgamate col talento nello storytelling di Green e con le affascinanti e magiche situazioni ideate da Gaiman, la puntata offre al pubblico una favola nera lunga quarantacinque minuti di puro incanto.
Ricky Whittle è perfetto per la parte di Shadow, per conferire al protagonista della storia quell’aria da finto-duro dal cuore tenero, pieno di rabbia ma incapace (per ora) di piangere: i suoi occhi lucidi trattengono le lacrime ed è il suo corpo a sfogarsi, con urla furiose verso il cielo e scazzottate nei bar (Pablo Schreiber è divertentissimo nei panni del leuprecano schizzato Mad Sweeney).
Ian McShane sembra nato per il ruolo di Wednesday (per rispetto di coloro che non hanno letto il romanzo, non rivelerò l’identità del misterioso datore di lavoro di Shadow: finché la serie tv non svelerà il suo vero nome, noi continueremo a chiamarlo Wednesday), e i suoi ghigni compiaciuti sono uno spettacolo.
Lo show riesce con sapienza a replicare l’aura onirica evocata dal romanzo, e gli effetti speciali grezzi non infastidiscono affatto, anzi contribuiscono a tenere ben distinti il mondo reale da quello dei sogni. L’ottima fotografia raggiunge picchi espressionisti nell’estemporanea che presenta il personaggio della dea Bilquis (interpretata da Yetide Badaki), una sequenza carica d’erotismo che mette in scena la più stravagante e spaventosa scena di sesso mai vista in televisione.
Le sequenze di “Arrivo in America” e “Da Qualche Parte in America” saranno due digressioni ricorrenti, e torneranno rispettivamente come prologo e intermezzo in ogni episodio. Fra i tanti temi trattati uno dei principali è quello dell’immigrazione (ancor più attuale nell’America di oggi di quanto già non fosse all’epoca in cui il romanzo venne pubblicato per la prima volta) e questi due interludi serviranno per mostrare l’arrivo in America o l’attuale vita in America delle diverse divinità straniere (sotto-trama molto cara a Gaiman che, da britannico, è stato “adottato” anni fa dagli USA).
Una serie tv appagante che se vogliamo raccoglie la sfida de Il Trono di Spade sfruttando il fantasy puro e semplice per raccontare una storia quanto più attuale possibile: se l’epica saga HBO ci parla di divergenze politiche e tolleranza razziale, l’avventura mitologica on-the-road di American Gods ci racconta di integrazione sociale, di immigrazione e del rispetto di culture diverse dalla nostra.
Un applauso a Starz per aver creduto nel progetto di Fuller e Green: dopo Black Sails, Outlander e Ash v Evil Dead, il canale satellitare americano ha trovato un altro cavallo di battaglia.