Recensione – Starlight, di Mark Millar
Pubblicato il 23 Maggio 2017 alle 10:00
L’autore di Ultimates, Kick-Ass e Jupiter’s Legacy rivista la spensieratezza della fantascienza anni ’50 in questo romantico racconto sulle difficoltà della terza età.
Qualunque sia la vostra opinione su Mark Millar, una cosa è innegabile: in questo momento (ma forse è meglio dire “da qualche anno a questa parte”) è l’unico sceneggiatore di fumetti al mondo col superpotere di fare ciò che vuole.
Una sorta di Re Mida, magari non sempre a livello qualitativo, ma sicuramente dal punto di vista produttivo: ogni sua nuova serie viene opzionata dai più importanti studi cinematografici di Hollywood ancor prima di uscire su carta stampata, e con l’esponenziale progredire del Millarworld (la sua sotto-etichetta/universo narrativo che racchiude tutte le sue creazioni) è aumentata anche, come nel più banale esempio di causa/effetto, la potenza del “brand Millar”.
Idee semplici ma di effetto, concise ma mai banali, pronte per diventare sia fumetto che film (come la Bonelli ha fatto con Monolith: l’Italia arriva sempre dopo, ma l’importante è arrivare), e che anzi spesso nascono da guizzi intellettuali che Millar pesca a piene mani proprio dall’arte cinematografica (esempio: Ocean’s Eleven + Chronicle = Supercrooks; Forrest Gump + Rain Man + Superman = Huck).
Tutte le sue storie sono spesso condite da un linguaggio aggressivo, violenza esplicita, sotto-testi politici mai troppo velati e una narrazione frenetica. Starlight fa l’esatto opposto, e raccontandoci la storia di un vecchio (ex viaggiatore interstellare ormai in pensione) riesce a trasmettere romanticismo, sincerità e una mistica nostalgia reverenziale nei confronti del filone della fantascienza pulp, in generale, o più nello specifico nei confronti di Flash Gordon.
In pratica, è come se Clint Eastwood avesse ambientato Gran Torino in uno degli episodi di Ai Confini della Realtà.
La parte più interessante della storia infatti non è tanto la missione del protagonista (rovesciare un impero fascista su un pianeta che aveva visitato tantissimi anni prima, quando era ancora giovane) quanto il fatto che nessuno, sulla Terra, crede che il nostro eroe sia stato davvero un viaggiatore interstellare: Duke McQueen è un vecchio solo e trascurato dai figli, le cui uniche ragioni di vita la guardano dal passato (la moglie, compagna di una vita, è morta, e le fantastiche avventure che ha vissuto nello spazio non sono che ritagli di articoli di giornale incorniciati alle pareti della sua casa vuota e triste).
E Millar è bravissimo a raccontarci le difficoltà di questo anziano eroe, che prima salvava mondi e adesso deve vedersela con gli acciacchi del proprio fisico.
E’ significativa questa nuova direzione della carriera dello scrittore scozzese: classe ’69, forse anche lui inizia a sentire il fiato della mezza età e per questo inizia ad interrogarsi non tanto sulle questioni di geopolitica, quanto sulla sensibilità dell’esistenza (addirittura in Reborn, sua nuova serie in corso di pubblicazione negli USA, che vanta i disegni di Greg Capullo, Millar ci parla della morte e dell’aldilà).
L’arte di Parlov è una gioia per gli occhi, e valorizza la sceneggiatura anche nei momenti meno efficaci: lo stile semplice ma coloratissimo dell’artista croato infatti è assolutamente calzante coi toni della serie, e viene esaltato dalla palette cromatica di Ive Svorcina.
Un racconto dall’aria familiare, dal punto di vista sia formale che narrativo, ma che nelle mani di questi due straordinari autori diventa qualcosa di molto più che godibile: Starlight entra di diritto nella top 5 delle opere Millariane, assicurando un puro divertimento tanto ai fan della vecchia fantascienza quanto a quelli della nuova.