Recensione in Anteprima – Monolith, secondo tempo, di Recchioni, Uzzeo e LRNZ

Pubblicato il 2 Maggio 2017 alle 14:25

Monolith, la macchina più sicura del mondo, diventa una trappola mortale per il piccolo David, rinchiuso al suo interno e ormai allo stremo delle forze a causa del sole feroce del deserto. Riuscirà Sandra a salvarlo? Riuscirà a liberarlo dalla morsa protettiva della tecnologica vettura?

I più attenti di voi, quelli che ci seguono giorno per giorno e che conoscono i ruoli dei vari collaboratori del nostro sito, avranno subito notato una cosa: perché affidare al sottoscritto, autore legato indissolubilmente alla sezione cinema, la recensione di un volume a fumetti così importante e atteso?

Se conoscete Monolith, se avete letto il primo volume (anzi, primo tempo) o se semplicemente conoscete la sua gestazione (cosa che, a meno non abbiate passato gli ultimi anni su Giove, o comunque da quelle parti, è assai probabile) allora saprete già che la storia nata dalla mente contorta di Roberto Recchioni – e realizzata in collaborazione con Mauro Uzzeo e Lorenzo Ceccotti – non è un semplice fumetto: è un fumetto che è anche un film.

L’idea di base, anzi, è nata proprio per il cinema, e solo nel corso degli anni si è ramificata fino ad avvilupparsi intorno all’arte del fumetto. La gestazione del soggetto ha portato alla nascita della graphic novel Monolith proprio mentre negli Stati Uniti veniva girato il film Monolith, diretto da Ivan Silvestrini e prodotto da Sky Cinema e Lock & Valentine.

(Se avete effettivamente vissuto su Giove o dintorni negli ultimi anni, innanzitutto mi congratulo con voi per quella che è stata di certo un’incredibile esperienza, dopo di che vi invito caldamente a recuperare e il primo volume della graphic novel, e il trailer dell’attesissimo lungometraggio, che troverete cliccando qui).

Quindi, quando il mio caro amico (e caporedattore) Domenico Bottalico, nel bel mezzo del Napoli Comincon mi ha domandato: “Ehi, ti andrebbe di scrivere un pezzo sul secondo tempo di Monolith?”, ho dovuto immediatamente distogliere la mia attenzione da una succinta cosplayer di Harley Quinn e rispondere: “Beh, ma certo!”.

E quindi eccoci qua, nell’afoso deserto dello Utah, abbrustoliti dall’enorme palla di fuoco che col suo malefico occhio ci fissa senza tregua dal centro della galassia.

Per Sandra, però, che alla fine del primo tempo stava iniziando a perdere la speranza, il centro della galassia in questo momento è suo figlio David, intrappolato dall’asettica e nerissima Monolith.

Forse, da quando il suo mostriciattolo è venuto al mondo, Sandra non l’ha mai ritenuto il suo centro dell’universo: forse Sandra era giovane all’epoca, forse le piaceva bere, drogarsi e scopare, forse aveva una carriera da cantante ad aspettarla nel suo futuro, futuro che è stato spazzato via da una pessima decisione e un test di gravidanza.

Ma quello è il passato, e bisogna andare avanti. Bisogna crescere. Nel presente, David è diventato il centro dell’universo di Sandra. Un universo composto da una vita grigia vissuta all’interno di un grigio matrimonio, matrimonio condiviso con un uomo grigio, pedante e asfissiante.

Un tempo era libera, e per anni le mura domestiche l’hanno tenuta prigioniera di quell’esistenza incolore. Ora che finalmente – anche se per poco – ha potuto assaggiare nuovamente la libertà, paradossalmente il destino (il destino, ma anche una buona dose di scelleratezza, che arriva sempre per le persone che si rifiutano di crescere) quella libertà gliela sta strappando da sotto al naso.

La Monolith, la macchina più sicura del mondo (che è un po’ la figlia bastarda nata dall’empia unione fra Skynet e il monolite alieno di 2001: Odissea nello Spazio) sta per trasformarsi nella bara più sicura del mondo, visto che David vi è rimasto intrappolato dentro – o Sandra vi è rimasta intrappola fuori, tutto si riduce come sempre a una questione di punti di vista.

Recchioni e Uzzeo sono praticamente perfetti nel raccontarci il punto di vista di Sandra, quello di una donna che suo mal grado è diventata mamma e che da mamma deve imparare a comportarsi subito, adesso, prima che sia troppo tardi. La vicenda si muove a metà fra un racconto dell’orrore di Stephen King (qui c’è un coyote al posto del san Bernardo di Cujo, e soprattutto c’è il bambino intrappolato nell’auto) e un film di sopravvivenza in salsa 127 Ore, o Buried, All is Lost (solo che Sandra è nel deserto e non nell’oceano indiano, come capitava allo sfortunato Robert Redford nel film di J. C. Chandor).

Sandra, consapevole di doversi assumere le proprie responsabilità e ormai perfettamente conscia di essere una pessima madre (forse suo marito aveva ragione)  è ostinata e caparbia, esempio perfetto della donna moderna che però Recchioni e Uzzeo non riducono mai a stereotipo: il suo coraggio e la sua tenacia mi hanno ricordato Santiago, il vecchio, testardo pescatore de Il Vecchio e il Mare di Hemingway, solo che qui non si parla di Uomo v Natura, ma di Uomo (o ancora meglio, Donna) v Tecnologia.

A livello scenografico, per quanto la storia ruoti intorno ad un’automobile, paradossalmente prevalgono gli ambienti esterni su quelli interni, e in questo senso Lorenzo LRNZ Ceccotti è magistrale nel regalarci questi incredibili e coloratissimi scorci del deserto, questa vasta immensità che intrappola Sandra impedendole in ogni modo di scappare dalle sue responsabilità.

Quello che mi aveva colpito di più leggendo il Primo Tempo, e poi sfogliandolo più volte, era la pesantezza dell’oscurità: Ceccotti (che si è occupato anche dei colori) era stato in grado di rendere il nero davvero nero, e le scene notturne erano davvero buie, come non mi era mai capitato di vederne in un fumetto (e come invece, guarda caso, capita spesso al cinema, quando il regista vuole catapultarti nel buio insieme al protagonista e tu, da spettatore, fatichi a distinguere ciò che accade sullo schermo, e a quel punto inizi a provare ansia, spavento, terrore …).

Nel Secondo Tempo la notte non c’è mai, i colori caldi soffocano quelli freddi, i brividi e la pelle d’oca diventano sudore, labbra screpolate e scottature. E mentre nel Primo Tempo la narrazione veniva inframmezzata con quegli straordinari, inquietanti incubi, qui ad offrire diverse chiavi di lettura ci pensano le visioni psichedeliche che affliggono l’ormai stremata mente di Sandra, attraverso una lunga e grandiosa sequenza che vede Ceccotti variare temporaneamente lo stile grafico.

Una storia di amore, paure, istinto di sopravvivenza. Una storia che ci insegna a non mollare, ad insistere, ma soprattutto che ci mette in guardia dai due più grandi errori che una persona possa commettere: scappare dai propri doveri e rifiutarsi di crescere.

A questo punto la versione cinematografica dovrà vantare una blindatura totale per reggere il confronto.

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