Wonder Woman 7 – Rinascita DC | Recensione

Pubblicato il 29 Aprile 2017 alle 10:00

Non esiste solo Superman a Metropolis! Esiste anche Superwoman! Anzi, di Superwomen ce ne sono addirittura due! Ma chi sono? Scopritelo in una nuova serie DC, pubblicata in appendice all’albo di Wonder Woman!

L’operazione Rinascita della DC continua e finora si è rivelata interessante. La casa editrice statunitense ha deciso infatti di porre fine all’esperienza New52, riprendendo diversi elementi narrativi che dopo Flashpoint erano stati accantonati. L’obiettivo è realizzare storie al passo con i tempi, mantenendo un collegamento con il passato più classico. Nel caso di Wonder Woman, tuttavia, le cose finora sembrano problematiche.

La collana del Rebirth è stata infatti affidata a Greg Rucka, di solito a suo agio con i personaggi femminili. Con la Principessa Amazzone, tuttavia, non pare che stia dando il meglio di sé.

L’autore sta analizzando le origini di Diana ma ha impostato la story-line in questo modo: c’è una prima sequenza narrativa che si occupa dei primi passi di Wonder Woman come supereroina; e una seconda, ambientata nel presente, che la vede alla ricerca del suo passato. Queste due parti, però, non vengono raccontate in maniera lineare. Rucka le alterna, albo dopo albo, è il risultato è piuttosto cervellotico e poco coinvolgente.

In questo settimo numero dell’edizione Lion, Diana arriva in America in compagnia di Steve Trevor. Oltre a riportare a casa l’uomo, finito a causa di un incidente sull’isola di Themiscyra, Diana ha l’obiettivo di scoprire il mondo esterno. Rucka, in questo contesto, ce la presenta come una donna ingenua e confusa, non a suo agio in un ambiente che non conosce e non comprende.

Descrive quindi il lato più vulnerabile della sua personalità. Al contempo, introduce Barbara Ann Minerva, la futura Cheetah, e coloro che seguono regolarmente l’albo sanno già che ha un ruolo rilevante nelle vicende del presente.

In ogni caso, non si comprende ancora dove voglia andare a parare Rucka e l’episodio è semplicemente interlocutorio ed esile, con testi e dialoghi sull’anonimo andante. Solo i disegni plastici ed eleganti di Nicola Scott rendono più piacevole la lettura; ma, in definitiva, anche stavolta Wonder Woman purtroppo si conferma come una delle serie più deboli del Rebirth.

Inizia poi una nuova collana: Superwoman, che prende il posto della miniserie di Poison Ivy conclusasi nel numero precedente. Scritta e disegnata da Phil Jimenez, si collega alle avventure di Superman. A Metropolis, l’Uomo d’Acciaio del periodo pre-Flashpoint è tornato in azione, dopo la morte del Superman del New52. C’è anche Lex Luthor che, per ragioni tuttora misteriose, agisce da eroe, rivendicando lo stesso nome.

E adesso spunta Superwoman. Chi è? Nientemeno che la Lois Lane del New52 (da non confondere quindi con la legittima consorte dell’attuale Superrman). Per una serie di circostanze, ha ottenuto superpoteri e ha deciso di combattere il crimine.

Si è addestrata con l’ausilio di Lana Lang; ma anche quest’ultima ha assunto abilità meta-umane e, come vedremo in questo numero di esordio, all’occorrenza opera pure lei con il nome di Superwoman. Abbiamo dunque due superdonne a Metropolis!

Vi sembra complicato? Forse lo è, ma Phil Jimenez crea le premesse di una trama godibile e divertente, riuscendo a stimolare la curiosità. Superwoman è perfettamente inserita nell’ambito narrativo delle testate di Supes, ha un classico tono supereroico e può vantare testi e dialoghi riusciti. Anche i disegni sono di buon livello e uno dei meriti di Jimenez è quello di impostare tavole di grande efficacia con un lay-out mutevole e inventivo.

E’ presto per dare un giudizio preciso su Superwoman. Potrebbe diventare una delle serie migliori della DC così come una delle peggiori. Tuttavia, le dinamiche psicologiche esistenti tra Lois e Lana sono intriganti e una serie comunque incentrata su due character femminili indubbiamente accattivanti come questi è da tenere d’occhio.

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