Napoli Comicon 2017 – Recensione: Wilson, di Craig Johnson
Pubblicato il 1 Maggio 2017 alle 15:00
Woody Harrelson gioca a fare lo strambo nel terzo lungometraggio dello statunitense Craig Johnson.
No, Wilson non è lo spin-off di Cast Away. Le uniche palle presenti in questo film sono quelle messe in gioco da Craig Johnson, perché diciamolo, ci vogliono le palle per fare un film del genere.
Un uomo di mezza età solo e nevrotico, ma al tempo stesso esilarante ed onesto, si riunisce con la sua ex moglie e incontra per la prima volta la figlia, ora teenager: per anni aveva creduto che la sua compagna avesse abortito, e adesso che ha scoperto di essere padre Wilson vuole in tutti i modi riallacciare i rapporti con la sua bambina.
Si, la trama può sembrare semplice, e la cinematografia americana è stracolma di protagonisti pazzi-nevrotici (anzi, il più delle volte per un attore un simile ruolo è quasi un rito di passaggio: pensate a Jack Nicholson, Billy Bob Thornton, Bill Murray) ma il film ha comunque tantissimo da dire. Spesso non riesce a dirlo, ma comunque ci prova di continuo.
Basato sulla graphic novel omonima scritta da Daniel Clowes (non tutti i cinecomics parlano di supereroi: ricordate La Vita di Adele?) Wilson si pone il difficile obiettivo di raccontare in maniera lucida la storia di un uomo completamente folle. Per farlo, Johnson punta sulla dark comedy, la infarcisce di distaccato cinismo e resta a guardare (forse troppo) quello che i suoi personaggi combineranno.
Forse troppo, si, perché il problema del film sta tutto qui: tantissime scene non sono altro che siparietti orchestrati per mettere in risalto la personalità del protagonista e strappare una grassa risata al pubblico, senza però essere propriamente funzionali alla trama.
Da ciò ne risulta un personaggio troppo dissennato (“sembriamo usciti da un film demenziale” urlerà Pippy, impersonata da Laura Dern) che non riesce a dirci tutto quello che ha da dire. Le difficoltà relazionali di Wilson, la sua rabbia verso il mondo, tutto rimane sempre troppo burlesco, sempre troppo comico, anche nei momenti più drammatici del film.
Se riuscirete a scendere a patti con l’incessante demenzialità, vi troverete davanti una spassosa commedia sfrontata, dolce e piena di gag esilaranti che giocano sul rovesciamento del cliché, sull’anticonvenzionale che vince lo stereotipo (la battuta sul succo di barbabietola è assolutamente emblematica in questo senso: in altre opere il protagonista avrebbe cortesemente assaggiato l’intruglio offertogli solo per sputarlo alla prima occasione, senza farsi vedere dal padrone di casa, ma qui le cose vanno in modo differente).
Il grandissimo Woody Harrelson dà corpo ad una straordinaria interpretazione, con quella sua faccia di bronzo (per non dire faccia da culo) che non sai mai se fa sul serio o se ti sta prendendo per i fondelli.
Nei suoi primi due film (True Adolescent e Uniti Per Sempre) Johnson aveva esaminato le età di passaggio, con storie di formazione che riflettevano sui momenti più delicati della vita dei giovani. Wilson non è un film sui giovani, ma è un film per i giovani: è un film che parla dei se della vita, dei rimorsi, di come si reagisce ai momenti topici, del tempo che passa come il ghiaccio che si scioglie (la scena più bella del film ha proprio il ghiaccio come soggetto).
Bisogna aprirsi agli altri, lasciarli avvicinare, mai disprezzare qualcosa per partito preso (Wilson odia la tecnologia, ma proprio quella tecnologia alla fine gli sarà più utile di quanto non avrebbe mai creduto possibile). Questo è il messaggio del film: si, magari sarà anche seppellito sotto una montagna di comicità volgarissima, ma è comunque lì che aspetta di essere colto.