Recensione – Netflix – Castello di Sabbia, di Fernando Coimbra

Pubblicato il 22 Aprile 2017 alle 17:00

Il nuovo film prodotto da Netflix si propone di raccontare gli orrori della guerra, ma non riesce a lasciare il segno e si perde nei meandri della vasta filmografia sulla guerra in Iraq.

Sulla carta era molto promettente Castello di Sabbia, nuovo film di Fernando Coimbra ambientato durante le prime fasi della guerra in Iraq. Ma questo dramma bellico propone troppo poco ad un genere che dall’11 settembre 2001 ha offerto tantissimo al mondo del cinema, e non riesce in nessun modo ad emergere.

E’ interessante il periodo storico durante il quale Coimbra ambienta il suo film. Il protagonista Matt Ocre (Nicholas Hoult) si arruola per potersi pagare il college nel luglio del 2001, certo che non avrebbe mai dovuto imbracciare davvero un fucile. Due mesi dopo, però, le Torri Gemelle vengono fatte saltare in aria e Ocre è così disperato all’idea di dover partire per l’Iraq che decide di rompere una mano schiacciandola nella portiera di un humvee.

Il suo sforzo da codardo non gli vale il rimpatrio, anzi viene spedito a Baghdad dove incontrerà quelli che saranno i suoi compagni di squadra e i coprotagonisti del film, capitanati dal sergente Harper (Logan Marshall-Green).

La trama è molto semplice: un elicottero Apache ha bombardato senza autorizzazione uno scambio di armi fra i terroristi, e la massiccia esplosione generata ha distrutto il sistema idrico che forniva acqua potabile alla città di Baqubah. Il team del sergente Harper, con l’aiuto delle forze speciali dispiegate sul luogo (agli ordini di un Henry Cavill super-barbuto) dovrà distribuire l’acqua ai cittadini, ricostruire l’impianto idrico e nel frattempo evitare di farsi uccidere dai ribelli.

Il film diventa ben presto un’allegoria della scellerata politica estera USA, basata sul mettere una pezza ai danni di cui essa stessa è responsabile.

Il giovane cast fa il possibile per calarsi nei panni di questi soldati, lasciati un po’ allo sbando dai superiori, ma non tutto funziona alla perfezione: Nicholas Hoult è uno di quegli attori incapaci di gestirsi da soli che necessitano di un grande regista per tirare fuori tutto il proprio talento, e Coimbra non sembra essere stato in grado di motivarlo abbastanza in questo senso.

Molto meglio Marshall-Green nei panni del soldato più esperto, che forse negli Stati Uniti ha lasciato un rapporto sentimentale sull’orlo del fallimento. La parte di Cavill è troppo risicata per permettere al nostro caro Kal-El di lasciare un qualsiasi tipo di segno nel film.

Sicuramente il grosso problema del film è quello di essere fin troppo familiare e puzzare lontano un miglio di già visto, già sentito. Di film sulla futilità della guerra ne saranno usciti almeno una dozzina nel 21esimo secolo, e Castello di Sabbia non sembra avere nulla di nuovo da aggiungere sull’argomento.

Probabilmente il regista brasiliano non dispone della sensibilità necessaria a trattare un argomento così delicato che per giunta non riguarda la propria nazione. Non a caso il suo primo film, A Wolf at the Door, rifletteva sulla criminalità in Brasile e rispecchiava bene la drammaticità di quel mondo. In questo caso, però, proprio non ci siamo, ed è impossibile sorvolare sulla povertà visiva e narrativa del film, che offre poco sia a livello d’intrattenimento, sia a livello di caratterizzazione dei personaggi.

In ultima analisi, Castello di Sabbia è un war-movie con troppi pochi alti e tantissimi bassi, e per la maggior parte del tempo riesce ad essere ciò che un film di guerra non dovrebbe mai essere: noioso.

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