Recensione – Here Alone, di Rod Blackhurst
Pubblicato il 20 Aprile 2017 alle 15:00
Dopo l’esordio al Tribeca Film Festival 2016, dove ha ricevuto l’Audience Award, il dramma post-apocalittico arriva in Italia sui servizi di streaming e download digitale.
Un anno dopo che un virus ha decimato la razza umana, Ann vive da sola nei boschi, cercando di procacciarsi il cibo necessario a sopravvivere e soprattutto stando ben attenta a non incrociare il suo cammino con quello dei famelici morti viventi che popolano le piccole città della zona.
Mentre una serie di flashback ci racconta del marito e della figlia appena nata defunti, Ann farà la conoscenza di Chris e della sua figliastra Olivia. Insieme, i tre dovranno imparare a fidarsi gli uni degli altri per poter riuscire a vivere come una nuova famiglia.
Here Alone ha un fortissimo retrogusto da dramma psicologico, nonostante indossi gli abiti logori e infanganti del survival post-apocalittico. La buona sceneggiatura di David Ebeltoft riesce a far scattare nella mente dello spettatore più attento una semplice associazione di idee, e cioè che l’uomo e la ragazzina appena conosciuti, per Ann potrebbero sostituire ciò ha perso nei primi giorni dell’apocalisse.
Il film funziona bene nella sua semplicità, restituendo al pubblico una buona dose di situazioni macabre: sarà facile introiettare le paure della protagonista, le sue ansie, i suoi dolori, chiedersi come agiremmo noi se fossimo al suo posto, quali sentimenti proveremmo, cosa ci spingerebbe ad andare avanti se mai dovessimo essere colpiti da un lutto tanto grave.
L’opera di Blackhurst (regista classe 1980 che aveva curato fotografia e regia del documentario Amanda Knox, e aveva giocato coi temi di Here Alone già nei bellissimi cortometraggi Alone Time e Night Swim) agisce come un The Walking Dead più crudo e realistico, meno fumettistico, o un Io Sono Leggenda al femminile e spogliato di ogni esagerato eroismo e/o romanticismo.
Sembra una storia che potrebbe aver avuto luogo nel mondo de L’Ombra dello Scorpione di Stephen King, ma se il maestro dell’horror giocava con l’universalità, qui è tutto più intimo, più raccolto, più famigliare (termine usato non per caso: il tema della famiglia ha un ruolo fondamentale nel film).
Here Alone è crudissimo, disincantato, sporco: è un film dove ci si ricopre di fango per nascondere il proprio odore, dove ci si versa addosso l’urina per coprire le proprie tracce, un film in cui non ci si fida di nessuno, solo di se stessi.
Unica critica va fatta alle musiche. Seppur azzeccata, la colonna sonora risulta superflua, anzi spesso addirittura controproducenti: il silenzio in un film può essere pericoloso (rischia di annoiare) ma mi sento di dire che qui avrebbe funzionato, rendendo paradossalmente più rumoroso il mondo silente di Ann, e ancor più minacciosi i gemiti dei morti viventi intorno a lei.