Recensione – Personal Shopper

Pubblicato il 18 Aprile 2017 alle 15:00

Arriva in Italia il nuovo film di Olivier Assayas, premiato con la miglior regia a Cannes 2016.

La collaborazione fra questo regista/critico cinematografico francese e la statunitense Kristen Stewart (cinema europeo che incontra il glamour hollywoodiano) era iniziata nel precedente film di Assayas, quel Sils Maria molto apprezzato che metteva in scena proprio questo incontro di mondi cinematografici così diversi, eppure capaci di essere complementari (e che permise alla Stewart di diventare la prima attrice americana a vincere un Cesar, l’equivalente francese degli Oscar).

Con Personal Shopper il sodalizio continua, anzi viene cementato. Perché il film è un assoluto trionfo sotto ogni aspetto: misterioso, inquietante e stimolante come pochissimi altri ghost movie degli anni recenti.

Il film racconta la storia di Maureen (Kristen Stewart), personal shopper di una famosa modella che vive a Parigi. Maureen ha da poco perso suo fratello gemello, Lewis, col quale condivideva il dono speciale di riuscire a comunicare con l’al di là. La vita nella capitale francese non la stimola e sopporta con fatica il proprio lavoro, che la costringe a vedersela quotidianamente coi capricci della star viziata, ma Maureen da Parigi non vuole andarsene, perché una promessa fatta col fratello la trattiene lì in attesa di un segnale dal mondo degli spiriti.

Quando questo segnale arriva, però, Maureen ne è spaventata. E, forse, il regno dei morti inizia a comunicare con lei attraverso il suo cellulare. Si tratta di Lewis, che finalmente sta cercando di contattarla? E’ forse un’altra entità, che non ha niente a che fare con suo fratello, e che anzi potrebbe essere addirittura malvagia? O magari (eventualità più inquietante di tutte) si tratta di uno stalker in carne ed ossa che sta giocando con lei?

Il fatto che tutte e tre le possibilità, per l’intera durata del film, incredibilmente, non rischiano mai di escludersi a vicenda, è sintomatico dell’estremo talento di Assayas.

L’idea di portare la presenza eterea dei fantasmi nella concretezza della quotidianità, attraverso moltissime inquadrature del display del cellulare di Maureen funziona in maniera superba, perché il messaggiare è una cosa che appartiene a tutti e aiuta lo spettatore ad immedesimarsi nella crescente inquietudine della protagonista.

Quindi Assayas gioca con tutte le funzionalità dello smartphone, dai selfie ai video su Youtube da guardare in viaggio: geniale l’utilizzo della modalità aereo come sistema per procrastinare, una sorta di “nascondere la testa sotto la sabbia” digitale, ben consapevoli che una volta riattivato il cellulare l’insistenza di chi ci sta cercando arriverà tutta insieme, rischiando di travolgerci.

La splendida regia fatta di giochi di specchi e suoni realistici ci permette di seguire Maureen nei corridoi bui della casa stregata (ogni scricchiolio di pavimento, ogni crepitare di infissi, ogni stridio di cardini è amplificato dal silenzio e per questo ancora più agghiacciante), nel traffico di Parigi, nei lussuosi hotel deserti, nelle stazioni e negli attici dell’alta società.

Come spesso capita nei film di Assayas, Personal Shopper non si lascia inquadrare in un solo genere e si diverte a mescolare in continuazione le carte in tavola. Certamente parte come ghost story (due sequenze in particolare valgono più di tutto il franchise di Paranormal Activity messo insieme) ma poi si trasforma in un racconto di formazione, un racconto sulla scoperta di se stessi, sul riuscire ad accettare se stessi.

C’è Kyra, la supermodella per la quale Maureen lavora, che con pochissimo screen-time sembra lei stessa un fantasma. Ma al cospetto della ricca e vanesia celebrità, è Maureen a smettere di esistere, a diventare invisibile come uno spettro.

Non ho mai apprezzato particolarmente la Stewart, ma sono stato indicibilmente felice di ricredermi grazie alla sua performance in quest’opera (indubbiamente la migliore della sua carriera): la sua Maureen rende sensuale la normalità di una ragazza qualsiasi che, trascorrendo ogni giornata all’ombra della bellissima star sua datrice di lavoro, si accorge che sotto sotto vorrebbe prendere il suo posto. Assayas è bravissimo a inquadrarla e a mettere in luce ogni aspetto del suo fascino, dal profilo alle dita affusolate della mani, dagli sguardi malinconici al corpo sottile e aggraziato.

Guardate, il film è straordinario ma assolutamente elitario: se cercate una storia di fantasmi lineare, con un inizio, uno svolgimento e un finale soddisfacente e definitivo, allora la narrazione deliberatamente criptica di Assayas non fa per voi; se invece siete alla ricerca di un’opera contemplativa che mediti sul materialismo e la mortalità (condita da sequenze da brivido che avrebbero inorgoglito Hitchcock), Personal Shopper  è ciò che state cercando.

E l’evocativa scena finale tornerà a perseguitarvi molte ore dopo che avrete lasciato la sala.

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