Recensione – Tredici – Netflix – 13 Reasons Why

Pubblicato il 3 Aprile 2017 alle 16:00

Diretto dal candidato all’Oscar Tom McCarthy (Spotlight), la nuova serie Netflix affronta un toccante argomento giovanile con un soggetto scaltro e incalzante.

Ogni più piccola azione ha una sua diretta conseguenza, e se questo è vero a livello universale e subatomico, lo è altrettanto quando si parla di interazione sociale. E ancora di più se quell’universo è il liceo e se quegli atomi sono i ragazzi che lo frequentano.

Hannah Baker si è suicidata qualche giorno prima della primissima inquadratura di Tredici, ed è proprio sul suo armadietto scolastico (tappezzato di fotografie e bigliettini d’addio) che McCarthy decide di esordire, mentre Hannah inizia a parlarci in voice-over: come a dire “ehi, non mi avete ascoltaro quando ero viva, ma adesso non potete più ignorarmi, cari miei”.

E ignorarla è difficilissimo perchè la nuova serie Netflix funziona alla grande, e cattura l’interesse del pubblico fin dai primi dieci minuti. Il protagonista Clay (Dylan Minnette) non ha idea del perché le cassette coi monologhi accusatori (e/o liberatori) di Hannah siano stati consegnati a lui, visto che non crede di aver avuto qualcosa a che fare con la sua morte.

La serie è vincente soprattutto nel rendere interessante la voce di Hannah, che abita spesso il fuori campo, senza incappare nell’errore, tanto comune nei voice-over (vedi Silence di Scorsese), non tanto quello di annoiare o distogliere l’attenzione da ciò che accade sullo schermo, quanto quello di darci la sensazione che la voce narrante abbia già vissuto gli avvenimenti che il pubblico sta osservando.

Che sia una voce dal futuro, che ricorda o racconta al pubblico una storia già compiuta.

Le cassette di Hannah invece fanno l’esatto opposto: arrivano dal passato e raccontano la sua storia, la sua versione dei fatti, spesso fornendo informazioni contrastanti con ciò che Clay (e quindi noi) scopre nella sua personale indagine.

Il sottobosco teen, pieno di conoscenti di Hannah che forse (chissà) sulla morte della ragazza sanno molto più di quello che dicono di sapere (e cioè nulla), portano la serie verso sponde thriller, aumentando la tensione narrativa ma distaccandosi molto dalle atmosfere empatiche del romanzo originale.

Lo sceneggiatore Brian Yorkey, infatti, dall’alto dei suoi Tony Awards e premi Pulitzer, ha subito intuito che la struttura episodica della serie (che gioca anche sulle recenti diatribe dello stile Netflix, al quale è stato imputato che tredici episodi per una stagione sono un po’ troppi) necessitava di qualche aggiunta al romanzo di Jay Asher, che si svolgeva nell’arco di una sola notte.

Le sottotrame aggiuntive quindi diluiscono il rapporto Hannah-Clay così strettamente focalizzato nel romanzo, diluendo di conseguenza il rapporto causa-effetto che le cassette della ragazza vogliono raccontare, ma questo è il prezzo da pagare per voler trarre una serie di tredici episodi da un romanzo che dura una sola notte. Un film sarebbe potuto bastare se la produzione avesse voluto raccontare quella storia, ma il desiderio di McCarthy è piuttosto quello di raccontarci non tanto la storia di due ragazzi, quanto l’adolescenza del XXI secolo come turning point dell’esistenza umana.

Il viaggio di Hannah, fatto di umiliazioni e speranze consumate è estremamente orribile, e la giovane attrice Katherine Langford fa un ottimo lavoro dimostrandosi estremamente dinamica e trascinante.

A Minnette spetta il compito più arduo, e differenziando gli umori e le emozioni di scoperta, disagio e senso di colpa riassume perfettamente il senso della storia: spesso siamo talmente occupati a vivere nella nostra realtà che non ci rendiamo conto quando la realtà degli altri sta collassando davanti a noi, e che anzi addirittura potrebbe star collassando proprio a causa della nostra indifferenza.

Okay, forse è un po’ tutto troppo melodrammatico. Forse la premessa è un tantino anacronistica (nel 2017 fa un certo effetto vedere le ormai preistoriche cassette nella stessa inquadratura in cui qualcuno nello sfondo sta scattando selfie) e il piano di Hannah piuttosto intricato e assurdo.

Ma il tono e l’accuratezza della descrizione emozionale bastano a farti affezionare ai due protagonisti della storia, così strettamente legati l’un l’altra nonostante a separlarli ci sia la tragica fine di lei.

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