Recensione – Life

Pubblicato il 30 Marzo 2017 alle 15:00

Gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale sono incaricati di studiare un campione di vita aliena proveniente da Marte. Purtroppo per loro, l’organismo si rivelerà essere molto più intelligente e pericoloso di quanto gli scienziati avessero previsto.

Mi è piaciuto moltissimo Life, nuovo film dello svedese Daniel Espinosa, il cui cinema – nonostante le origini cilene – emana in ogni dove uno stile di stampo europeo.

Ad onor del vero temevo il peggio per questo film (è sempre bello quando si viene smentiti in questo modo), e per più di una ragione: innanzitutto rabbrividivo per la trovata pubblicitaria che ha accompagnato l’uscita dell’opera (che la indicavano come “prequel segreto” del film su Venom, in lavorazione alla Sony, cosa che per fortuna il film non è), e inoltre avevo la sensazione che il film sarebbe stato masticato e sputato via dal mondo del cinema solo per ingannare l’attesa per il prossimo Alien di ser Ridley Scott.

E invece Espinosa ha fatto un ottimo lavoro col suo sesto lungometraggio (dopo i già molti interessanti Easy Money, Safe House, sempre con Reynolds e Child 44 con Tom Hardy).

Life si muove sapientemente e con agilità (un po’ come fa l’alieno ribattezzato Calvin) fra gli spazi che separano il primo Alien e Gravity.

Come nel film di Cuaron c’è la Terra, un posto isolato che fluttua sotto i protagonisti, un posto pieno di dolore che gli astronauti dalla Stazione Spaziale Internazionale guardano da lontano, con nostalgia si, ma anche con disprezzo. Nello spazio c’è utopia, c’è amicizia, solidarietà, fratellanza fra nazioni diverse, cose che sulla Terra sono impensabili. Inoltre, Espinosa cita il collega messicano naturalizzato italiano (vedete come ritorna l’internazionalità in questo film?) premio Oscar per Gravity nel lungo piano sequenza iniziale, sostituendo gli spazi aperti in cui fluttuavano Sandra Bullock e George Clooney con gli interni della stazione spaziale.  

E per l’appunto si passa alle influenze di Alien: come nel film di Scott, infatti, c’è la forma di vita aliena, c’è la claustrofobia della nave spaziale, soffocante, strettissima, una trappola circondata dalla trappola più micidiale di tutte: lo spazio (dove nessuno può sentire urlare gli astronauti, e che li separa dalla salvezza, rappresentata dalla Terra sotto di loro).

Oltre a regalarci immagini mozzafiato, cadenzate da un buonissimo ritmo, il film sa anche essere molto intelligente, quadrato, e dimostra di conoscere il proprio obiettivo: non scade nell’errore di scimmiottare le atmosfere di Alien, e schiva il romanticismo intimista di Gravity facendosi molto più globale e cinico. Life è un film che parla dell’incomunicabilità e dell’impossibilità di cooperare, dei difetti della razza umana, delle atrocità che gli esseri umani commettono contro se stessi, delle bandiere e dei confini che dividono le nazioni.

Sulla Terra, per lo meno: nello spazio non esistono confini, non ci sono bandiere, e non ci sono popoli. C’è la razza umana, unita come dovrebbe sempre essere, contro un alieno che è solo, l’unico della sua specie, l’esatto opposto del concetto di “razza” e “moltitudine”. Cosa conta di più quando bisogna sopravvivere? La forza? L’intelligenza? L’amore? Il sacrificio?

Andate a vedere il film per scoprire come risponderebbe Espinosa.

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