Starting Point 14: Dell’uomo e delle sue ossessioni
Pubblicato il 12 Settembre 2011 alle 18:38
Puntata speciale per Starting Point con una ricca intervista a Michele Petrucci in cui si parla oltre che della sua carriera di cosa sta accadendo nel mondo del fumetto e nel suo “dietro alle quinte”.
Michele Petrucci inizia la sua carriera nel mondo del fumetto nel 1999, autoproducendo con l’etichetta “Innocent Victim” (fondata insieme a Matteo Casali e Giuseppe Camuncoli) “Keires”, thriller ben congegnato in cui oltre al mistero a farla da padrone sono i personaggi di cui ci viene mostrato, come in una lezione di anatomia, ogni più piccolo dettaglio psicologico ed ogni più profonda ossessione, tanto che sono proprio quest’ultime a muovere la storia e a darle spessore. Il tratto di Petrucci, benchè ancora agli inizi del suo percorso artistico, risulta estremamente efficace nel delineare personaggi abbrutiti dalle proprie manie e nel rimarcare il clima di profonda inquietudine proprio della vicenda. Benchè sia solo la prima opera dell’autore vi si ritrovano tutti i temi che diverranno a lui cari, dall’attenzione e profondo interesse per la psicologia umana e per le sue aberazioni, fino all’amore per il mistero e per personaggi che non possono che definirsi “unici”.
Sempre per “Innocent Victim” Petrucci edita, nel 2000, “Sali d’argento”, altro thriller, questa volta ambientato nella Los Angeles degli anni ’50. In questa seconda opera l’autore ci accompagna attraverso i meccanismi della memoria, mostrandoci come il ricordo non possa essere considerato una fotografia immutabile (il nostro protagonista è proprio un fotografo), ma piuttosto un lungo processo di rielaborazione che può portarci a riscrivere il passato.
Del 2001 è “Ossidiana”, su testi di Matteo Casali, storia di una nave, la Freiheit, della sua carriera lavorativa e del suo difficile “rapporto” con la mastodontica “Vaterland”.
Nel 2003 esce, invece, “Numeri”, edita da “Magic Press”, in cui ci viene mostrata la difficile vita in un carcere di massima sicurezza in cui sono i “numeri”, ferocissimi gruppi di detenuti, a farla da padrone.
Nel 2007 Petrucci realizza insieme a Giuseppe Camuncoli e su testi di Gianluca Morozzi “Il Vangelo del Coyote” (pubblicato da “Guanda”). In quest’opera tornano alla ribalta segreti ed ossessioni e la vicenda ci conduce attraverso i meandri della mente fino ai desideri e alle perversioni più bieche, senza però darne un giudizio e lasciando al solo lettore il compito di dare un valore a quanto gli viene mostrato.
Sempre su testi di Morozzi inizia nel 2008 la serializzazione di “FactorY”, ambiziosa opera in tre stagioni da tre volumi ciascuna (al momento si è conclusa la prima), dai ritmi e dai meccanismi narrativi propri dei telefilm americani. Ancora una volta oltre alla stora in sè vengono messe in risalto le storie e le caratteristiche personali di tutti i personaggi, dei quali ci vengono svelate a poco a poco le storie personali, infarcite di dettagli inquietanti. I due autori riescono a farci affezionare ai personaggi, a punto di soffrire per loro quando si ritrovano in trappola e gioire quando sembra che possano salvarsi.
Il 2008 è anche l’anno della sua prima opera edita da “Tunuè”: “Metauro”. “Metauro” è probabilmente l’opera più personale di Petrucci, il quale partendo da una vicenda storica, la battaglia del Metauro, avvenuta vicino ai luoghi in cui ha trascorso l’infanzia, imbastisce una storia fantastica in cui la vicenda di Asdrubale è presa come pretesto per esplorare gli affetti umani e far avviare al protagonista un cammino di ricerca interiore.
Per “Tunuè”, nel 2010, esce anche “Il Brigante Grossi”, in cui, ancora una volta, attraverso una vicenda storica si racconta la storia di un uomo e del difficile rapporto con il nascente Stato italiano, in un’epoca di grandi cambiamenti e profonde difficoltà. Petrucci in quest’opera ha il grande merito di raccontare la storia dalla parte della gente comune, degli sconfitti che, lungi dal sentirsi tutelati dal nuovo Stato, si ritrovavano a vivere in condizioni ancor più miserovoli delle precedenti.
Ma adesso lasciamo spazio alle parole dell’autore, del quale potete seguire direttamente l’evoluzione artistica sul suo blog: Niente Trucchi
1) Come ti sei è avvicinato al fumetto come mezzo narrativo e perchè hai scelto proprio questa forma artistica per raccontarti e raccontare le sue storie?
Come per la maggior parte di quelli che fanno fumetti, la passione è nata negli anni dell’infanzia. Per questo è così importante che si continui a pensare e proporre fumetti per bambini che, come sappiamo, in Italia scarseggiano. Quando ho iniziato a scrivere i primi racconti mi è sembrato naturale provare a cimentarmi con questo mezzo.
2) Quali sono le tue influenze artistiche e i tuoi autori di riferimento?
Tra i tanti amo citare Mattotti e il suo raffinato “L’uomo alla finestra”, l'”Alack Sinner” di Munoz e Sampayo, i racconti autobiografici di Chester Brown e il segno potente di Mazzucchelli.
3-a) Le tue prime opere di cui ho trovato notizie sono “Keires” e “Sali d’argento”, è cominciato tutto con questi due lavori o avevi già realizzato altro?
Keires è il mio primo fumetto pubblicato e anche il mio primo racconto lungo. Prima ho solo scritto e disegnato racconti brevi mai pubblicati.
3-b) Ci parli di questi due fumetti? Come nascono, quali temi trattano e come sono stati accolti all’estero, viste le loro edizioni francese (per “Vertige Graphic”) e americana (per “Slave Labor Graphic”)?
Nascono dalla mia passione per “i generi” (soprattutto quelli neri, come il noir e il thriller) e con la voglia di cercare di allargare i loro confini. in Keires affronto una storia di serial killer e ossessioni con un segno minimale e grottesco che contrasta con i temi trattati. Sali d’argento è una storia noir narrata negli anni della nascita del genere, quando i fotografi di cronaca nera (il protagonista è uno di loro) raccontavano con i loro bianchi e nero contrastati la parte buia della società. Gli assassini, i regolamenti di conti, i suicidi, i processi.
In Francia sono stati accolti molto bene dalla critica con tante recensioni positive. Negli Usa invece non ho avuto notizie. Slave Labor si è volatilizzata subito dopo aver pagato gli anticipi. In quegli anni eravamo noi autori a tenere i contatti con gli editori e come potete pensare non è facile quando le distanze sono così elevate.
4-a) Cosa ti ha lasciato l’esperienza con “Innocent Victim”?
Innocent Victim era un gruppo di fumettisti che producevano e promuovevano le proprie storie. Eravamo giovani e abbiamo fatto molti errori ma sicuramente ci siamo divertiti e tutti abbiamo imparato molte cose. Soprattutto all’inizio quando ci siamo autoprodotti i primi libri (seguendo stampa, vendita diretta alle fiere, distributori, vendita dei diritti all’estero, etc). Un’esperienza quella dell’autoproduzione che consiglio a tutti.
4-b) Ci parli delle tue collaborazioni con Matteo Casali con cui hai realizzato alcuni racconti? Apprendo dal tuo blog che hai nel cassetto proprio una storia realizzata con lui: “Similaun”, ci puoi dire qualcosa al riguardo? Credi che vedrà mai la luce?
Matteo è uno sceneggiatore che non lascia niente al caso. Molto dettagliato e tecnico. Con una gran visione delle inquadrature che gli ho sempre invidiato. Poi è una persona molto attiva e dopo anni di girovagare per i festival di tutto il mondo conosce tantissimi editori e editor. Non a caso lavora più all’estero che in Italia. Similaun è un horror ambientato sulle alpi alla fine della seconda guerra mondiale. Avevamo deciso di trovare un editore straniero che pagasse a tavola ma ancora non se ne è fatto nulla.
5) Restando sul tema delle collaborazioni noto che, pur avendo lavorato con molti colleghi (Casali, Gabos, Morozzi, Camuncoli), in queste occasioni hai sempre curato l’aspetto grafico e mai quello dei testi, è un caso o preferisci disegnare personalmente ciò che scrivi?
Non ho pregiudizi a nessun tipo di collaborazione. Semplicemente non ho mai avuto l’occasione. Ma forse il motivo è che non essendo uno sceneggiatore farei fatica a scrivere per qualcun altro. Il mio metodo di lavoro non è mai lo stesso. A volte posso iniziare a disegnare anche con solo un soggetto e poco più in testa.
6) Le tue ultime due opere (“Metauro” e “Il Brigante Grossi”), ma anche il racconto “Tito” hanno una forte connotazione storica, come ti sei trovato a raccontare epoche diverse dalla nostra? Come si è svolto il lavoro di documentazione?
La cosa che considero importante è la storia che racconto e i personaggi rappresentati. I generi, le epoche, le geografie passano in secondo piano. Detto questo è innegabile il mio fascino per la storia e per il mio territorio e in Metauro (in maniera più diretta, visto che in parte è autobiografico) e Banda Grossi proprio di questo parlo. Il lavoro di documentazione è fondamentale ed è stato fatto in gran parte attraverso le fonti locali come librerie e biblioteche. In qualche caso anche raccogliendo racconti tramandati in maniera orale.
7) Rispetto a Metauro, puoi parlarci della sua genesi artistica? So che una prima idea in tal senso l’avevi già abbozzata nel racconto “La Guerra degli Elefanti” per la rivista tedesca “Moga Mobo”…
Metauro nasce dalla scoperta che uno dei possibili punti dell’epica (e poco conosciuta) battaglia tra l’esercito romano e quello cartaginese del fratello di Annibale (appunto, la battaglia del Metauro) è stato individuato dove giocavo da piccolo, in un’ansa del fiume vicino alla casa dei miei. Il racconto che citi l’ho scritto e disegnato anni prima e riguarda un’altra battaglia, nell’attuale Iraq. E anche in quel caso furono utilizzati elefanti da guerra. Ma non ci sono poi tanti altri punti in comune.
8) Ne “Il Brigante Grossi” analizzi dal punto di vista di quello che potremmo definire un “outsider” il rapporto tra Stato e gente comune e ancor più precisamente tra il nascente Stato Italiano e gli abitanti di un piccolo paese di campagna, mettendo in luce anche aspetti fortemente negativi del processo di unificazione nazionale. Come vedi il rapporto tra Stato e cittadino al giorno d’oggi e cosa rappresenta per te l’unità d’Italia?
A me interessa soprattutto il brigante come persona non come figura politica. Allo stesso modo lascio l’analisi storica (di allora e di oggi) a figure più competenti anche se, come scrivi, ho voluto mettere in evidenza anche alcuni dei tanti aspetti negativi di quel processo. Il concetto di unità del paese fu molto astratto per gran parte della popolazione che venne costretta a tanti pesanti doveri (tasse, leva obbligatoria) a fronte di inesistenti diritti (in campagna lo Stato nel senso dei servizi ai cittadini, arrivò con molta lentezza). Per questo molti vissero quell’esperienza come un sopruso.
9) Recentemente hai partecipato ad un incontro a Rimini sul rapporto tra fumetti e storiografia, come ritieni che si possa affrontare la storia attraverso il fumetto? Mi incuriosiva soprattutto la tua idea sulla possibilità di scrivere saggi a fumetti, strada che, ad esempio, sembra aver intrapreso da tempo la Becco Giallo…
A quell’incontro mi è sembrata condivisa l’idea che il fumetto non sia un mezzo espressivo adatto alla saggistista storica pura (non romanzata, insomma) mentre invece penso che sia abbastanza malleabile per adattarsi a tutto. C’è ancora da sperimentare moltissimo e penso che questo sia uno dei motivi per cui mi affascina tanto il fumetto. Becco Giallo ha senz’altro il merito di aver intrapreso (con alti e basi) strade ancora non battute.
10-a) Veniamo alle tue collaborazioni con Gianluca Morozzi (“Il Vangelo del Coyote” e “FactorY”), come ti sei trovato a lavorare con lo scrittore bolognese?
Benissimo visto che stiamo collaborando da 5 anni. Gianluca è un vulcano di idee e non si tira mai indietro di fronte alle sfide. Mi piace il suo spirito. Inoltre ammiro la sua spontaneità nel raccontare. Io, al contrario devo avere tutto sotto controllo.
10-b) Con “FactorY” avete portato nel fumetto un formato editoriale proveniente dal mondo dei telefilm, quello delle stagioni, visto finora in Italia solo con pubblicazioni da edicola come “John Doe” o “Detective Dante”, pensi che possa funzionare anche per le pubblicazioni da libreria?
La risposta purtroppo è no. Almeno per quanto riguarda il nostro progetto. I tempi di attesa per il lettore si allungano troppo e questo causa una veloce disaffezione. Ma sapevamo dall’inizio che la nostra sarebbe stata una sfida difficile.
10-c) Che differenze hai riscontrato tra il progettare una serie divisa in stagioni come “FactorY” piuttosto che un romanzo a fumetti o un racconto?
Io e Gianluca abbiamo progettato FactorY insieme. Di conseguenza io cerco di scrivere un plot ben preciso mentre Gianluca improvvisa aggiungendo personaggi o svolte inaspettate. Così arrivano nuove idee e nuovi stimoli e devo dire che è divertente lavorare in questo modo. Del resto la sceneggiatura è tutta opera del Moroz e raramente modifichiamo la sua prima versione.
Invece per la parte grafica (sia i disegni che le sezioni di inizio capitolo) ho tutta la libertà e l’appoggio di Gianluca.
10-d) Che risultati ha ottenuto questo progetto?
Come dicevo, nonostante le tante recensioni positive e gli incoraggiamenti dei lettori, le vendite non sono state sufficienti per andare avanti in questa maniera.
10-e) Puoi darci delle anticipazioni sul futuro di “FactorY”?
Al momento abbiamo deciso di fermarci alla prima stagione (3 libri) per capire come proseguire la maxiserie. Mancano ancora due stagioni alla conclusione delle vicende dei nostri all’interno della fabbrica e non è semplice capire come portarla a termine senza scontentare qualcuno dei nostri lettori. Ma ne stiamo discutendo e penso che entro pochi mesi sapremo dire qualcosa.
11) Sul tuo blog pubblichi spesso studi preparatori e sperimentazioni grafiche, segno di un percorso artistico in costante evoluzione e di un profondo interesse per le nuove possibilità espressive aperte da un media in continua trasformazione come il fumetto. Dove ti sta portando questa ricerca?
Non ho una direzione precisa. Mi piace imparare poco alla volta, spaziando su tutti i campi. Romanzi a fumetti e di serie. Colore, bianco e nero o bicromia. Toni drammatici e divertenti. Inoltre da poco ho iniziato a lavorare anche nel campo dell’illustrazione. Tutte queste cose mi aiutano a capire come raccontare al meglio una storia. Ma ancora la strada da fare è lunga. Il mio unico rammarico è che non ho mai abbastanza tempo da dedicare a tutto e lo spazio per sperimentare è limitato.
12) In tutte le tue opere, da “Keires” fino a “Il Brigante Grossi”, si nota sempre una grande attenzione all’aspetto psicologico dei personaggi, al loro carattere, ma anche alle loro ossessioni, da cosa deriva questo tuo interesse?
Vero. Mi interessano moltissimo le passioni che spesso diventano ossessioni. Servono a definire e raccontare le persone meglio di qualunque altra cosa. Le ossessioni raccontano cosa amiamo alla follia e di cosa abbiamo paura. Inoltre sono spesso affascinanti anche dal punto di vista visivo. Il protagonista della storia che sto scrivendo in questo momento, per esempio, segue alla lettera le teorie di Cesare Lombroso e cataloga le persone che incontra in base ad esse.
13) Puoi dirci a cosa stai lavorando attualmente e quali sono i suoi progetti per il futuro?
Di solito amo lavorare contemporaneamente su più fumetti. Al momento sto ultimando due racconti: “The rumble in the jungle” per un libro (una raccolta di 10 racconti a fumetti dal titolo Gang Bang) che uscirà assieme al quotidiano Il Manifesto a fine anno e quello per “Hellzarockin'” (su testi di Gianluca Morozzi) per Tunué. Inoltre sto scrivendo questo nuovo romanzo ancora senza titolo. In autunno invece l’editore Prìncipi & Princípi pubblicherà il mio primo libro illustrato, “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad.
14) Riguardo all’autoproduzione mi dicevi che è una strada che consigli vivamente a quegli autori che si avvicinano per la prima volta al fumetto, non pensi che possa essere utile anche per chi si è già affermato in questo campo? Per fare un esempio, pensi che l’esperimento di Makkox sia solo una brillante eccezione o possa diventare “la norma”?
L’autoproduzione è molto utile nonché divertente da fare. Ma se mi parli di sostituire il normale processo di vendita sono molto scettico. Gli editori hanno un ruolo importante di selezione del materiale pubblicabile, di editing e di promozione difficilmente sostituibile. Makkox è un’eccezione che nasce dal suo stretto rapporto con il web (e dalla sua bravura e grande produttività).
15-a) Nella tua carriera hai pubblicato per molti editori, rispetto alla tua esperienza quali caratteristiche ritieni che debba avere un buon editore?
Deve saper curare tutto il progetto. Ha bisogno di un editor che segua l’autore, di un buon grafico che curi grafica e tipografia e di un buon ufficio stampa per la promozione.
15-b) Quali aspetti dell’editoria ti hanno deluso o credi che vadano cambiati?
È innegabile che ci sia una crisi nel processo di vendita e promozione dei libri, non solo a fumetti. Gli editori e i distributori stanno producendo troppo materiale e i punti vendita sono al collasso. La vita media di un libro si è abbassata notevolmente. Si deve tornare a produrre meno e curare meglio. Molti editori lo hanno capito e lo stanno già facendo con risultati apprezzabili.
15-c) Puoi parlarci della tua esperienza con Tunuè? Pensi che possa diventare la tua “casa artistica”, almeno per le opere a fumetti, o hai voglia di continuare a sperimentare anche a livello editoriale?
Tunué è giovane ma molto dinamica, curiosa e in costante crescita. Io mi sono trovato bene e penso continuerò a collaborarci. Detto questo non ho in mente un “editore perfetto”.
15-d) Hai riscontrato differenze nei rapporti con editori come Guanda o Fernandel (non specializzati in fumetti) rispetto a quelli con case editrici specializzate?
Sì. Per esperienza personale posso dire che nel campo dell’editoria tradizionale c’è meno pregiudizio nei confronti del fumetto, ma ancora tanta ignoranza. E l’ignoranza in questo come in altri campi si paga con scelte sbagliate. Per esempio Guanda e Fernandel hanno snobbato le fumetterie non considerando che nonostante il loro esiguo numero possono ancora contare su molti lettori competenti e affezionati.
16) Molti fumettisti ad un certo punto della loro carriera si avvicinano al mondo della grafica o a quello dell’illustrazione, credi che sia dovuto più ad un percorso di sperimentazione artistica o al fatto che in Italia si fatica a vivere di solo fumetto?
Non saprei. Fumetto, illustrazione e grafica sono cose molto differenti. Personalmente non ho mai fatto scelte di questo tipo pensando a questioni economiche. Mi sembra che il mondo dell’illustrazione, per quanto più vario e più stratificato di quello del fumetto non offra via più facili da questo punto di vista.
17-a) Cosa ne pensi della situazione contrattuale degli autori di fumetti in Italia?
Io non ho mai avuto problemi di contratto con gli editori con cui ho lavorato. Ma ho sentito di contratti molto approssimativi o addirittura di autori che, soprattutto alla prime esperienze, hanno preso grosse fregature per aver lavorato senza.
17-b) Dalla Lucca dello scorso anno sembra essersi attivato un forte dibattito proprio su questo tema, con contributi anche profondamente divergenti tra i vari autori. Tu cosa credi che si debba cambiare e cosa invece è stato fatto nell’ultimo anno?
Il dibattito è stato forte ma mi è sembrato che tutto girasse sul fatto che i fumetti non siano pagati in maniera sufficiente. Cosa indubbiamente vera ma che dipende dal fatto che nella maggior parte dei casi le tirature sono molto basse. Per i contratti si può fare poco. Diffondere un contratto base che serva da riferimento al mercato e agli autori più giovani. Cosa che, assieme ad un ristretto numero di autori (capitanati dal volenteroso Claudio Stassi), abbiamo fatto e stiamo portando avanti.
17-c) Cosa credi che serva per ottenere questi cambiamenti?
Ora il prossimo passo è formare un’associazione che funzioni. Nei prossimi mesi vedremo se la recente trasformazione della storica Associazione illustratori in Autori d’Immagine (un’associazione che comprende illustratori e fumettisti) funzionerà e riuscirà ad attrarre molti soci.
17-d) Credi che tra gli autori di fumetti ci sia la sensazione di appartenere ad una categoria, una “coscienza di classe” per dirla con Marx?
Mi sembra che ci sia poco senso di appartenenza e molta diffidenza. Inoltre si fa fatica a fare gruppo, a lavorare su progetti comuni. Non so se sia un problema di categoria o più genericamente una mentalità di questo paese.
18) Cosa ne pensi della recente legge “Levi” che regolamenta la scontistica nel settore librario? Credi che possa aiutare le piccole case editrici e le librerie indipendenti o rischia di ridurre ulteriormente il già esiguo numero di lettori?
Penso che, come in molti altri settori, serva una regolamentazione seria. Dietro al paravento del liberismo sfrenato spesso nascono situazioni che danneggiano soprattutto le entità più piccole (e di conseguenza le diversità del settore). Per avvicinare i lettori ai fumetti non servono sconti ma libri di qualità, promossi bene.
19) Quale credi che sia lo “stato di salute”, sia a livello artistico che editoriale, del fumetto in Italia? Da lettore mi sembra di cogliere una forte discrepanza tra una sperimentazione artistica estremamente prolifica e poliedrica ed una situazione fortemente deficitaria per quanto riguardia l’industria del fumetto.
Mi sembra che gli ultimi anni abbiano fatto bene ai libri a fumetti, con nuovi editori e nuove energie, mentre il fatto che da tanto, troppo tempo l’industria del fumetto seriale si regga unicamente su un unico grande editore non abbia fatto bene al suo stato di salute. Anche qua i talenti nostrani si stanno sempre più spostando sui mercati statunitensi e francesi (paradossalmente più dei fumettisti “d’autore”) e se non cambieranno le cose il mercato del fumetto da edicola sparirà nell’arco di una generazione.