Recensione – Elle
Pubblicato il 22 Marzo 2017 alle 18:40
Il grande ritorno di Paul Verhoeven.
Uno studio di qualche tempo fa indicava che quasi il 30% delle donne hanno fantasie sessuali legate allo stupro. E’ un dato, questo, che deve aver di certo colpito Paul Verhoeven, lo scandaloso regista olandese che ben venticinque anni fa lasciava un marchio indelebile nella storia del cinema con Basic Instinct, nel quale una Sharon Stone più bella, più erotica e più perversa che mai faceva perdere la testa al detective Nick Curran interpretato da Michael Douglas.
Ma la Michèle di Isabelle Huppert è molto diversa dalla bionda Catherine Tramell, tanto quanto Elle lo è da Basic Instinct. I toni oscuri, da thriller poliziesco, qui vengono abbandonati in favore di atmosfere non allegre, ma sicuramente più leggere.
Si tratta di una sorta di commedia grottesca sulla vita e sulle pulsioni, che Verhoeven narra senza forzare mai la mano sul pathos: Michèle è una donna forte, dal pugno di ferro sia nella vita privata che sul luogo di lavoro (è una produttrice di videogame, un aspetto molto interessante che ci fa capire molto di questa donna energica, giovanile, circondata dai poster di The Last of Us o The Order 1886), una donna dal passato turbolento e tragico, che dà poca importanza alla violenza subita perché ne ha già passate fin troppe.
Verhoeven dimostra tutta la sua intelligenza nell’allestire questo strano gioco fra vittima e carnefice, fra preda e cacciatore, e l’incedere del film non punta mai a rivelare l’identità del molestatore. La vera domanda che il regista vuole che vi facciate è: è possibile che a Michèle sia piaciuto essere violentata?
E’ un film che ha dei difetti, Elle, ma senza dubbio non gli si può imputare di non essere audace. Soprattutto nella società di oggi, fatta dai polveroni alzati da attiviste politiche e campagne per i diritti delle donne. Gli autori di un certo calibro (e Verhoeven appartiene a questa categoria) rispondono a loro modo, mostrando le loro donne forti: lo stiamo vedendo nella serie HBO Big Little Lies, e lo vediamo in Elle.
La carica erotica del film non raggiunge mai i livelli di Basic Instinct, ma solo perché non vuole competere con quel tipo di film: il sensazionalismo viene lasciato quasi sempre da parte in favore di un’analisi psicologica estremamente approfondita, accompagnate da alcune trovate visive davvero evocative (come il fiore di sangue che macchia la schiuma nella vasca da bagno, una pungente metafora sul potere corruttivo della violenza).
E’ una storia sulle menti fragili che si nascondono dietro i volti fieri e sicuri di se, una storia di segreti e pulsioni vergognose, che gira intorno ad una straordinaria Isabelle Huppert, una involontaria (o forse no) femme fatale che è anche madre, figlia, datrice di lavoro, amica, vicina di casa.
Una donna normale, come qualunque altra donna, come qualunque persona. All’apparenza, per lo meno.