John Wick – Capitolo 2 – Recensione

Pubblicato il 17 Marzo 2017 alle 21:51

John Wick, il micidiale sicario conosciuto come l’Uomo Nero, è costretto a tornare in azione quando l’ex-collega Santino D’Antonio gli commissiona l’omicidio della sorella Gianna per prendere il controllo di una potente organizzazione criminale. Vincolato da un giuramento di sangue, John è costretto a recarsi a Roma dove affronterà alcuni dei più temibili sicari al mondo.

Bisogna cercare di capirlo il povero John Wick. Lui vorrebbe tanto ritirarsi a vita tranquilla ma nell’episodio precedente non gli hanno solo ucciso il cane, gli hanno pure rubato la Mustang. E l’infallibile sicario interpretato da Keanu Reeves decide di regolare i conti addirittura prima dei titoli di testa del sequel. Si butta in un ruvido inseguimento stradale vecchio stampo, lontano dalle esagerazioni multimilionarie di un Fast & Furious, si esibisce in un paio di coreografie ben congegnate atterrando qualche stunt e, dopo aver ammazzato del più e del meno, brinda alla pace.

Il Capitolo 2 sembra quindi aprirsi all’insegna del meritato riposo. John consegna l’auto al meccanico, s’è fatto un cane nuovo e torna a seppellire l’artiglieria nel cemento ma non fa in tempo a mettere giù la cazzuola che Riccardo Scamarcio suona alla porta e gli fa saltare in aria la casa. Stavolta il letale ‘Baba Yaga’ dovrà venire a Roma per uccidere Claudia Gerini, incoronata regina della camorra in una festa disco al Colosseo alla quale partecipa anche qualche testa porporata. Un mix di Suburra e Gomorra all’americana.

Nel 2014, Chad Stahelski e David Leitch, collaboratori di vecchia data con lunghi trascorsi da stunt, hanno esordito alla regia col primo John Wick e, insieme allo sceneggiatore Derek Kolstad, sono riusciti a creare un franchise action di grande successo praticamente dal nulla.

Sono partiti da un budget risicato, hanno costruito un eroe-antieroe duro e puro, dai connotati essenziali, addosso ad un Keanu Reeves che sembrava alla frutta, hanno ideato con pochi mezzi la mitologia e le regole di un network di assassini su commissione, hanno dato nuova linfa a tutti i migliori elementi del b-movie e, soprattutto, hanno venato la narrazione di un’ironia sottilissima, punto di forza sul quale molti franchise falliscono scivolando su una serietà eccessiva o su una comicità di grana troppo grossa.

La stessa genuina artigianalità si evince nel sequel con la medesima squadra produttiva (e un Leitch più defilato che si è occupato di Atomica Bionda, John Wick al femminile con Charlize Theron, e dirigerà Deadpool 2) e un budget raddoppiato dai 20 ai 40 milioni di dollari (ne ha già incassati più di 150). La trama è un puro pretesto per mettere John contro tutti gli altri sicari. Memorabile, in tal senso, il montaggio incrociato che mescola svariate ed elaborate coreografie di combattimento con un moderato splatter digitale.

Esilarante la sparatoria infinita con Common e spettacolare il duello nel labirinto di specchi con Ruby Rose, nuova action-girl di Hollywood (xXx – Il Ritorno di Xander Cage, Resident Evil: The Final Chapter), talmente action da non aver bisogno neanche della parola. E tutti la smettono di massacrarsi e diventano amiconi appena si mette piede nell’hotel, zona neutrale del network, la cui sede romana è gestita da Franco Nero. Laurence Fishburne torna a lavorare con Reeves dopo la trilogia di Matrix nel ruolo di un gangster neanche troppo lontano da Morpheus nella caratterizzazione.

Non c’è un attimo di monotonia visiva nel film, grazie a multicromie artificiali e a continui cambi di scenografie. Inutile avventurarsi in pretenziose analisi critiche sul contrasto tra le antiche rovine romane che fanno da sfondo allo scontro a fuoco di metà film e il museo d’arte moderna in cui si svolge lo scontro finale. Ogni scelta estetica e funzionale all’action, né più né meno. Il finale, un po’ Jason Bourne e un po’ Jack Reacher, basta per tenere John arrabbiato e in modalità Baba Yaga fino al terzo inevitabile episodio. Ben venga.

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