La Battaglia di Hacksaw Ridge – Recensione del film di Mel Gibson candidato a 6 premi Oscar
Pubblicato il 3 Febbraio 2017 alle 22:54
1942. Il giovane Desmond Doss, avventista del settimo giorno, si arruola nell’esercito come obiettore di coscienza, intenzionato a fornire supporto medico senza imbracciare armi. Nonostante l’ostruzionismo dei superiori e l’ostilità dei commilitoni, Desmond è deciso a dimostrare il suo valore sul fronte giapponese nella battaglia di Hacksaw Ridge.
Spazza via tutti i pregiudizi, soprattutto quelli del pubblico, la nuova prova di Mel Gibson che costruisce la storia proprio con l’intenzione di toglierci il tappeto da sotto i piedi. Diciamola tutta, nella prima parte, il film puzza di propaganda religiosa lontano un miglio, e non ci sarebbe da meravigliarsi visti i precedenti del regista.
Il contraddittorio percorso del protagonista, col sorriso da bravo ragazzo di Andrew Garfield (The Amazing Spider-Man), sembra voler andare a parare a quel martirio tanto caro a Gibson. Basti pensare a Braveheart e a La Passione di Cristo. In tal senso, è esplicita la sequenza nella quale Desmond accetta il pestaggio dei commilitoni in maniera omertosa e porgendo l’altra guancia.
Come se non bastasse, la vicenda segue fin da subito gli stilemi del classico melodrammone patinato, vuoi per la storia d’amore con lo stereotipo dell’infermierina in tempo di guerra (si prenda la Kate Beckinsale di Pearl Harbor, per dirne una), qui con la grazia di Teresa Palmer (Warm Bodies, Lights Out), vuoi per la storia familiare ed intimista nel rapporto conflittuale tra il protagonista e suo padre, un gigantesco Hugo Weaving (Matrix, Il Signore degli Anelli).
Nella seconda parte del film, però, si passa all’azione sul campo di battaglia, ricostruita come solo a Hollywood sanno fare, con dettagli cruenti in puro stile Gibson, e il sentimentalismo lascia il posto ai cadaveri divorati dai topi.
Sulla scarpata di Maeda, ribattezzata Hacksaw Ridge, confine tra la vita e la morte, le chiacchiere stanno a zero, le ideologie lasciano il posto ai fatti e la prospettiva del pubblico inizia a cambiare insieme a quella dei superiori di Desmond, che hanno il mascellone di Vince Vaughn (True Detective) e gli occhi di ghiaccio di Sam Worthington (Avatar).
E’ impossibile non fare il tifo per il protagonista mentre corre disarmato tra le esplosioni portando in salvo i feriti e prega il suo dio di dargli la forza per salvarne un altro, un altro e un altro ancora, compresi alcuni nemici giapponesi, sostenuto dalle sonorità epiche di Harry Gregson-Williams. E anche ogni ventata di americanismo viene spazzata via dalla sequenza del seppuku che segna sì la sconfitta dei giapponesi ma viene messa in scena con rispettoso rigore.
Si direbbe una retorica favoletta di celluloide ma Gibson ci ricorda nel finale che si tratta di una storia vera, magari romanzata in alcun punti, ma i fatti salienti vengono riportati dai veri testimoni degli eventi prima dei titoli di coda spazzando via ogni ulteriore dubbio.