Dylan Dog n. 365: Cronodramma – Recensione

Pubblicato il 1 Febbraio 2017 alle 20:15

Dylan Dog viene ingaggiato da una ricca scrittrice di romanzi perché la sua casa è infestata dal fantasma di una bambina. L’indagatore dell’incubo si trova così alle prese con un terribile fatto di sangue avvenuto anni prima. Nel frattempo, altrove, un altro Dylan Dog riceve la visita della stessa bambina che gli chiede di riaccompagnarla a casa.

Il tema dello spaziotempo è particolarmente caro a Carlo Ambrosini che ne ha visitato le pieghe e gli interstizi in diverse storie di Jan Dix e sulle pagine di Dylan Dog ne Il Guardiano della Memoria. Il fumettista lombardo, tra l’altro, ha dato il via al nuovo corso della testata con l’albo Una nuova vita, nella quale introduceva il misterioso e demoniaco arlecchino che qui torna come una sorta di dispettoso avatar dell’autore a scindere la storia in due linee narrative.

La regole del tempo, nella concezione e nella percezione comune, non si applicano a Dylan Dog né a tanti altri personaggi dei fumetti che vivono in una dimensione cristallizzata ma devono anche tenersi al passo coi tempi per sopravvivere a se stessi. L’attuale direzione editoriale cerca di conciliare l’approccio manieristico al personaggio con una concezione più autoriale.

E’ esattamente questa la scissione operata da Ambrosini attraverso il suo Arlecchino. La linea narrativa disegnata dall’autore rispetta le dinamiche più convenzionali della serie, con Dylan che svolge la sua indagine in un contesto concreto e i comprimari che rispettano i propri ruoli.

La realtà parallela disegnata da Werther Dell’Edera è invece più estremizzata, surreale, quasi dadaista e volutamente provocatoria nei confronti di quei lettori che restano puntualmente irritati di fronte alle interpretazioni più autoriali dell’indagatore dell’incubo. Lo stile richiama a quello di Attilio Micheluzzi che disegnò Gli orrori di Altroquando, Speciale n. 2 della serie, il cui titolo pure rimanda alla correlazione tra spazio e tempo.

Sarebbe tuttavia scorretto definirle due linee narrative “parallele” poiché Ambrosini sembra rifarsi alla concezione dello spaziotempo come struttura circolare, un infinito prodursi e disfarsi dell’universo proprio come i continui reboot fumettistici. E’ una curiosa coincidenza che l’albo esca proprio mentre nelle sale cinematografiche viene proposto Arrival, il nuovo film di fantascienza di Denis Villeneuve che propone la stessa concezione dello spaziotempo.

Le dicotomiche realtà della vicenda si compenetrano e si separano in una serie di oscillazioni riflesse nel movimento della piccola Milky sull’altalena, come il pendolo di un orologio. Tiziano Sclavi fece qualcosa del genere in Ritorno al Crepuscolo. Le due linee narrative arrivano dunque a collidere mentre il prologo e l’epilogo chiudono appunto un cerchio. La struttura del racconto ne riflette quindi i contenuti in un riuscito connubio tra forma e sostanza.

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