Tipologie di un amore fantasma: Recensione

Pubblicato il 6 Settembre 2011 alle 14:47

L’odissea malata di un innamorato (forse due ?), in una Italia che non esiste più per un fumetto di Adriano Barone e Mauro Cao per Voilier

Tipologie di un amore fantasma

Autori: Adriano Barone (storia) e Mauro Cao (disegni).
Casa editrice: Edizioni Voilier.
Provenienza: Italia.
Prezzo: 9,00 Euro.
Note: 72 pag., colore, 17×24, brossurato, rilegatura a filo refe dei sedicesimi.

Stranissima storia ma a tratti affascinante quella proposta da Adriano Barone (ai testi), e Mauro Cao (disegni), che parte subito in maniera folgorante, senza introduzioni, prefazioni/postfazioni o quant’altro (a parte qualche breve riga di ringraziamenti dell’autore), e ti sbatte in faccia l’Italia dopo il “Disastro”, ovvero un’Europa dove il nostro Bel Paese è letteralmente sparito dalla cartina, e il Mediterraneo adesso arriva a toccare direttamente Svizzera e Austria; in quest’Italia che non esiste più (almeno sulle mappe geografiche), Adriano, il protagonista, si masturba davanti al teleschermo fantasticando su Eva, la presentatrice di un nuovo reality show, “Belle da morire”, dove le protagoniste si lasciano morire di fame pur di restare nel gioco e il televoto non serve per farle uscire (“i voti del pubblico non contano un cazzo!”), bensì per scommettere su chi di loro si salverà (!!).

Adriano è disperato, perché ama alla follia Eva, ma lei non si accorge di lui, non sa nemmeno che esiste; in realtà i due si sono incrociati ad una mostra d’arte, e lei si macera nel rimpianto di non avergli parlato esattamente come fa lui.

Ne seguono delle sequenze deliranti, aperte manco a dirlo da una citazione tratta dal Sandman di Neil Gaiman che dialoga con uno dei suoi fratelli, Delirio appunto, e forse quello incrociato in uno stranissimo deserto cremisi è proprio lui, nella personale versione data dall’autore in questa sua opera; Adriano è sempre alla ricerca di Eva, ma nemmeno in quel deserto ottiene risposte confortanti, così si ritrova alla guida della sua macchina dove probabilmente parla ad un fantasma, quello del suo amore che presume non corrisposto, fino ad avere un incidente…

Poi, una convalescenza forse rivelatrice, un viaggio allucinante in treno fuori da quell’Italia che ormai non dovrebbe più esistere, un treno infinito, per un viaggio che sembra non finire mai, dove i due pur incontrandosi non si dicono nulla; intanto in Italia è successo qualcosa per cui sono morte moltissime persone, ma altrettante sono rimaste infettate e stanno male, ma di cosa soffrono nessuno lo sa.

I morti sono tornati indietro, ma sono apatici, immobili, mentre anche i vivi hanno preso ad ammalarsi di una malattia che nessuno sembra in grado di capire; poi, come tutto è cominciato, i morti resuscitati sembrano tornare a morire nuovamente non rivelando nulla di quello che ci aspetta nell’aldilà (e allora, almeno quello!).

Intanto il protagonista salta da uno scenario all’altro, ognuno contraddistinto da una tonalità di colore diversa (il deserto rosso, il viaggio in treno giallo, ecc.), quasi a sottolineare l’emotività particolare di ogni situazione (o sono forse universi paralleli?), finendo poi con lo stuprare la propria madre (in una sequenza non esplicita ma abbastanza inequivocabile); fantasie o realtà?

Finale che si perde in sempre più deliranti elucubrazioni che sfiorano veramente l’indecifrabile (semplicemente, non si capisce più nulla); la storia, ispirata dal libro di Giuseppe Genna “Italia De Profundis” (2006) e “2046” di Wong Kar-Wai, viene presentata come una “apocalisse visionaria” e contemporaneamente una riflessione sull’amore, sull’Italia e sul fumetto, che non possono però dirsi del tutto riuscite, a dispetto del vantato “romanzo a fumetti postmoderno” che dicono risulterebbe.

La metafora dell’Italia colpita dal “Disastro” è forse la più interessante, anche vedendo oggi come siamo messi (l’opera è comunque solo del 2009), ma sfugge il significato dei morti che ritornano per poi morire di nuovo e dei vivi che sono come morti, anche se quest’ultima è una visione, se riferita al nostro paese, non del tutto peregrina (purtroppo); idem per il reality assurdo, altrettanto azzeccato per quanto pericolosamente vicino a quelli “veri” che possiamo vedere tutti i giorni, ma la spazzatura propinata dalla nostra tv non può essere limitata solo a questo, il problema è molto più vasto e profondo (e le ricadute sociali, molto più complesse), per cui come riflessione è appena un abbozzo, a malapena un cenno.

Disattese anche, come detto, quelle sull’amore, ridotte al solo rapporto “fantasma” di Adriano e Eva, che se solo si parlassero scoprirebbero di essere corrisposti, anche se c’è il tentativo di approfondire il sentire dei personaggi, almeno del protagonista, ma si finisce con troppe “pippe mentali” (se mi passate il termine) che degenerano nella confusione più totale del finale; e lo stupro della madre, proprio nella parte conclusiva, sembra veramente buttata lì come effettaccio senza nessuna ragione d’essere, completamente scollegata dal resto, ma forse era una delle tante “tipologie di amori fantasma” su cui l’opera si proponeva di riflettere…peccato che sembrino tutte uguali tranne questa (ma potrebbe essere un limite di quest’umile recensore, che alla fine ha anche gettato un po’ la spugna nel cercare di capirci qualcosa).

Parte grafica ad opera di Mauro Cao, dal tratto sporco e pesante, perfetta per trasmettere quell’atmosfera malata, claustrofobica e di ineluttabile tragedia che incombe su tutta la narrazione, efficace anche nel tratteggiare l’emotività dei protagonisti; semmai sorge qualche perplessità sulla colorazione monocromatica (a varie tonalità) dei diversi “pezzi” cui si compone la storia, perché non sempre si intuisce la loro effettiva attinenza con il segmento in questione (forse è solo per distinguere una realtà dall’altra), seppure nel complesso gradevole.

L’opera ha invece, sicuramente, un cuore vivo e pulsante, una forza narrativa ed evocativa palpabile, alcune belle battute, con buone intuizioni e alcune sequenze di dialoghi apprezzabili, ma l’andamento “delirante” che sembra divertirsi a diventare sempre più incomprensibile, sfocia in un finale veramente senza senso, anche se forse adattissimo vista l’escalation verso l’assurdo che si consuma pagina dopo pagina; lampi di genio annegati in troppa confusione (forse volutamente o forse perché si è perso il bandolo della matassa), anche il delirio ha una sua poesia, e qui si potrà anche cogliere, ma solo in parte, naufragando verso l’assurdo senza ritorno (però…forse potrebbe valere la pena provarlo lo stesso).

Ottima invece l’edizione Voiler, per grafica, carta, rilegatura e resa dei disegni e dei colori.

Voto: 6 e 1/2

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