Recensione – Taboo, episodio due
Pubblicato il 16 Gennaio 2017 alle 10:40
Tom Hardy e Stephen Graham vi mostreranno cosa vuol dire testosterone.
La scorsa settimana abbiamo assistito al ritorno di James Delaney, creduto morto per anni e ora di nuovo a Londra per raccogliere la scomoda eredità del padre. Se nel primo episodio Tom Hardy, almeno dialetticamente, le suonava a tutti i suoi avversari – rido ancora al pensiero delle facce furiosamente sconcertate di Jonathan Pryce nei panni di Sir Stuart Strange, leader della Compagnia delle Indie – nella seconda puntata di Taboo Steven Knight sprigiona tutta la sua abilità nei dialoghi, presentandoci l’incontro fra James e un suo vecchio e poco raccomandabile amico, Atticus, interpretato da Stephen Graham.
Graham è chiaramente a suo agio – anzi, chiaramente divertito – nei panni di Atticus, un assassino a pagamento dai modi filosofici e la lingua lunga. Il suo testa a testa con Tom Hardy è sicuramente il fulcro della puntata, che eppure ne ha avute di cose da dire.
In Episodio II, James ha iniziato a reclutare alleati prima che lo scontro verbale contro i membri della Compagnia delle Indie finisca col diventare anche uno scontro fisico. Faremo la conoscenza di nuovi personaggi, come la spia americana interpretata da Michael Kelly (House of Cards), il Principe Reggente, che alla morte del padre sarebbe diventato Giorgio IV, col volto di un irriconoscibile Mark Gatiss (Mycroft Holmes di Sherlock) e una bella nobil donna di cui non vi svelerò l’identità, interpretata da Jessie Buckley.
Bisogna approcciarsi ad una serie come Taboo essendo ben consci del fatto che, almeno inizialmente, a) molte domande saranno sollevate prima di ottenere qualche risposta, e b) non ci si può fidare di nessuno. Del resto, come Atticus domanda a James: “Qual è la cosa più piccola che ti è capitata di vedere nei tuoi viaggi?”. E James risponde: “La gentilezza”.
Si fa fatica anche a fidarsi del protagonista, chiaramente folle per certi aspetti. Nel suo modo di fare, e con i suoi misteriosi piani che prevedono di mettere le fazioni rivali una contro l’altra, ricorda molto i personaggi Senza Nome dei western con Clint Eastwood.
L’eccentrica presenza di Hardy come sempre è quella di un grottesco scimmione che cammina sulla linea sottile che separa l’umorismo smargiasso dallo sguardo omicida, ed è capace (letteralmente) di trasformare l’atto di mangiare una mela in una dichiarazione di guerra. Se guarderete la serie originale, beneficerete poi dello straordinario accento che l’attore conferisce al suo personaggio, che da buon giramondo parla acciaccando insieme tutte le cadenze e i suoni che ha raccolto nel suo peregrinare.
Sotto la sicura direzione di Kristoffer Nyholm, Taboo se pur gotico e sporco non diventa mai lercio – come i vestiti di James – e non si vergogna di quello che è, vantandosi anzi dei propri lucidi dettagli e delle proprie amabili finezze.
Tante domande quindi, com’è normale che sia del resto. Cosa vuole fare James col vascello che ha comprato? Come riuscirà a fronteggiare la potenza della Compagnia delle Indie? Perché è tormentato da quelle strane ed inquietanti visioni di morti e schiavi annegati? Ha avuto una storia di sesso con sua sorella? I due si amavano? Lei ora lo odia perché lui l’ha abbandonata? Ma soprattutto, di cosa accidenti blatera James per la maggior parte del tempo?
Meglio non pensarci troppo, ogni questione verrà risolta nel corso dei restanti sei episodi. Di certo c’è che, con tutti i suoi sudici e seducenti orpelli, Taboo è sicuramente la miglior storia di redenzione-vecchio-stile che potete trovare oggi in televisione.