Allied – Un’ombra nascosta – Recensione del nuovo film di Robert Zemeckis

Pubblicato il 13 Gennaio 2017 alle 22:58

1942. Il canadese Max Vatan e la francese Marianne Beausejour sono due spie degli Alleati che si fingono coniugi a Casablanca per uccidere un ambasciatore tedesco. I due s’innamorano davvero, si sposano ed hanno una figlia ma l’idillio rischia di terminare quando l’SOE solleva alcuni terribili sospetti sulla donna.

Parcheggiata in garage la macchina del tempo di Ritorno al futuro, lasciata Cartoonia e il mondo animato di cui è stato pioniere con la sua trilogia in motion capture, salutati spettri e contatti extraterrestri, il cinema di Robert Zemeckis di questi ultimi anni sembra concentrarsi sempre di più su storie di gente ordinaria in situazioni straordinarie.

A partire da Forrest Gump il regista ci ha raccontato del naufrago Tom Hanks, di Denzel Washington pilota d’aereo tossicodipendente ed eroe per caso, di Joseph Gordon-Levitt funambolo che passeggia su un cavo tra le Torri Gemelle di New York. Realtà e realismo cinematografico che si confondono come nella storia delle due spie innamorate, Brad Pitt e Marion Cotillard.

Il primo sembra non aver perso l’abitudine di sparare ai nazisti (Bastardi senza gloria e Fury) e di impelagarsi in complicati matrimoni tra killer (Mr. & Mrs. Smith), la seconda dimostra che avrebbe potuto essere lei la letale protagonista di Assassin’s Creed anziché un’esangue comprimaria.

La scelta di aprire la vicenda a Casablanca è una gustosa, palese citazione che accompagna tutto il film e si fa lampante nell’epilogo. I due protagonisti scrivono inizialmente la propria sceneggiatura, costruiscono la loro fittizia storia d’amore che diviene poi sentimento reale nell’opera di fiction, un gioco di specchi, finzione nella finzione, metanarrativa pura.

La guerra accompagna, s’intreccia, diviene metafora della relazione tra i due. Il dubbio si palesa, si insinua nella coppia e nel pubblico, il sospetto somiglia a quello di un adulterio, il melodramma diventa thriller, l’occhio registico si sofferma a scrutare un’indecifrabile Cotillard come non può fare quello guercio del reduce di guerra, commilitone di Max, mentre è rivelatore e al contempo dubbioso lo sguardo alcolico del prigioniero francese.

Zemeckis costruisce un neoclassico con buon mestiere percorrendo stilemi collaudati, inserisce sprazzi di action senza cedere troppo alle dinamiche di guerra o al catastrofismo, e tiene col fiato sospeso fino al momento della verità, preludio ad un finale tragico e strappalacrime che diviene anche salvifico e assolutorio e non sfugge all’inevitabile retorica antibellica. Suonala ancora, Marion.

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