Orfani: Terra n. 1 – Dalla cenere – Recensione

Pubblicato il 19 Gennaio 2017 alle 22:39

Mentre i più fortunati si trasferiscono su Nuovo Mondo, gli abitanti della Terra sono costretti a sopravvivere ad un ambiente ostile. Lo spostamento dell’asse terrestre causato dalle esplosioni ha devastato gli Stati Uniti. L’economia è collassata, gli ultimi resti della società civile sono rinchiusi in nuclei urbani militarizzati. Il resto della popolazione vive nelle badlands desertiche. Cain e altri giovani sono schiavi impiegati nel recupero di materiali di riciclo in una discarica tossica. Il loro obiettivo è superare il Muro della Vergogna e raggiungere la Città Nuova.

Mentre seguivamo le vicende di Rosa su Nuovo Mondo nella terza stagione di Orfani ci siamo chiesti cosa sarebbe successo a quegli sventurati costretti a rimanere sulla Terra in rovina. Una parziale risposta ci viene fornita da questa miniserie di tre numeri che, come la precedente incentrata sulla Juric, può essere considerata più uno spin-off che una stagione vera e propria.

Emiliano Mammucari, creatore grafico della serie alla quale ha prestato saltuariamente le matite per le storie e le copertine, torna qui in veste di sceneggiatore insieme al fratello Matteo. Ed è proprio da due fratelli che parte la storia, Cain e Abe. Il riferimento biblico-mitologico è evidente. In linea con la filosofia di Orfani è il più cinico, sbruffone e nichilista dei due a diventare il protagonista.

La vicenda si articola come un dramma carcerario privo delle atmosfere claustrofobiche tipiche del genere. Tuttavia le asperità ambientali rese dai disegni di Alessio Avallone e dai colori di Giovanna Niro rendono la grande discarica tossica un inferno a cielo aperto. L’albo dimostra ancora una volta come Orfani sia una serie totalmente rivoluzionaria sul piano estetico per quanto riguarda il fumetto seriale.

L’ottima qualità del comparto grafico si evince già dalla cover di Gipi con un Cain scarno come molti dei personaggi disegnati dall’autore pisano la cui ultima opera, La Terra dei Figli, ha pure un’ambientazione post-apocalittica.

Disegni e colori confermano le parole del protagonista ad inizio storia. “Il giorno ti frigge la faccia” tra riflessi di luce abbagliante e “la notte ti ghiaccia i polmoni” con gelide sfumature violacee. Particolarmente suggestive le panoramiche e gli scorci della Los Angeles post-apocalittica con stranianti giochi di luce artificiale. E poi c’è il sangue che risalta sempre, di giorno e di notte, con ogni tipo di illuminazione. Nella sequenza del pestaggio a inizio storia, sembra quasi che il sangue resti attaccato alla vignetta.

A esclusione di qualche splash-page mozzafiato, le tavole sono strutturate in maniera piuttosto convenzionale per raccontare le vicissitudini dei giovani schiavi che sopravvivono cercando materiali da riciclo tra i rifiuti (esattamente come Rey in Star Wars: Il Risveglio della Forza, per dirne una). Tuttavia l’elemento fantatecnologico è puramente accessorio, la narrazione si concentra sull’approfondimento dei personaggi e le parentesi action sono bilanciate e mai eccessive.

Le opposte filosofie di sopravvivenza di Cain e Max sono l’asse portante della storia e trovano un culmine conflittuale nella simbolica scalata verso il velivolo della resistenza. Unica presenza femminile è la misteriosa Miranda mentre gli altri comprimari sono delineati in maniera sintetica e sono funzionali alla narrazione.

La metafora sociopolitica qui imbastita tira di nuovo in ballo l’immigrazione, tema fondamentale in tutta la serie. Per giungere nell’abbagliante Città Nuova, i protagonisti devono superare il Muro della Vergogna, appellativo utilizzato per tutte quelle barriere architettoniche che hanno portato svantaggi a determinate popolazioni, dal muro di Berlino alla barriera tra Stati Uniti e Messico tristemente riportato alla stretta attualità da Donald Trump, neoeletto Presidente degli USA. In tal senso, la Città Nuova a stelle e strisce sembra più un abbagliante miraggio che la terra delle opportunità.

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