Sherlock Stagione 4 [Recensione]

Pubblicato il 22 Gennaio 2017 alle 10:00

Dopo anni di attesa, torna finalmente il detective più amato del mondo, con una quarta stagione piacevolmente sorprendente e dal carico emozionale inimmaginabile.

[ATTENZIONE, POSSIBILI SPOILER]

L’OMICIDIO DENTRO DI NOI

Il 2017 ha finalmente portato, dopo una lunga ed estenuante attesa, la quarta stagione di Sherlock, incentrata come sempre sulle avventure del detective più amato del mondo e del suo inseparabile amico e compagno d’azione, il Dott. Watson.

Eppure, nonostante il contesto sia apparentemente lo stess, notiamo subito che l’atmosfera generale ed il tono della serie sono assolutamente qualcosa di diverso: il primo episodio è solo un preludio di ciò che succederà nel corso della stagione, e la morte di Mary rappresenta un perfetto artificio che mette in moto la travolgente macchina emozionale che si abbatterà letteralmente su Sherlock e John.

“Emozioni”, esattamente: quelle a cui il detective non ha mai ceduto e davanti alle quali è riuscito sempre a mantenere il controllo (anche con Irene Adler, l’unica donna sulla terra con qualche possibilità di far nascere dell’interesse amoroso in Sherlock) e che stavolta lo trafiggono in pieno.

Le sue abilità logiche e deduttive rimangono ma, a differenza delle altre sfide affrontate (con Moriarty o con lo stesso Magnussen) non rubano l’occhio: stavolta, più che la mente, a rubare la scena è il cuore che, alla fine, anche Sherlock dimostra di possedere.

THE GAME IS ON

Come abbiamo detto, è il finale del primo episodio che stravolge l’intera stagione, che trova l’effettivo punto di svolta col secondo episodio, “Il Detective Morente”.

Notiamo subito che, seppur risulti essere un personaggio interessante, Culverton Smith non può essere minimamente all’altezza dei villain precedenti, né tanto meno reggere da solo l’intera trama.

Ecco dunque che notiamo come il ricco Serial Killer sia solamente un altro pezzo del meraviglioso puzzle costruito per esaltare i demoni interni del protagonista: devastato dai sensi di colpa per la morte di Mary, l’intera “lotta” con Smith ci mostra quanto Sherlock sia capace di sacrificare se stesso pur di “salvare” il tanto amato John Watson.

E, per dimostrarlo, è costretto a scendere all’inferno, a mettere in dubbio persino le sue doti deduttive pur di far riscoprire a John il suo coraggio, il suo senso di dovere e giustizia, sepolti sotto il dolore dato dalla perdita della moglie.

Un altro elemento sorprendente per il pubblico però, è scoprire che John Watson, il più simile a un “eroe” tra tutti i personaggi dello show, il più giusto, il più ligio al dovere, ha anch’esso delle parti “oscure”.

I dubbi su Sherlock, il suo esitare nel dargli aiuto (cosa mai successa sino ad ora) ed i suoi sensi di colpa per il presunto tradimento a Mary lo rendono terribilmente “umano”, non per il fatto di cedere ai sentimenti o alle emozioni (come di solito si intende per Sherlock) quanto per il fatto di accettare che l’essere umani implica l’avere delle proprie fragilità e di sbagliare, di tanto in tanto.

Il dialogo tra Sherlock e John a Baker Street, dove viene sottolineato questo fatto, è forse il punto più alto toccato dal duo: nessuno è totalmente perfetto, nessuno è totalmente imperfetto e va bene così, perché ognuno completa l’altro.

IL PROBLEMA FINALE

Se pensate comunque che le emozioni si limitino a questo, vi sbagliate di grosso. L’entrata in scena di una misteriosa sorella, dalla mente geniale e le intenzioni non proprio genuine, è la metafora perfetta di ciò che la serie vuole portare alla luce.

Affrontare un super cattivo con la tua stessa abilità è facile ma, quando esso si incastra con la figura della tua misteriosa sorella, di cui non ricordi assolutamente nulla, serve qualcosa di più delle semplici qualità intellettive per affrontare il pericolo.

Serve il cuore, che Sherlock metterà veramente a dura prova sottoponendosi al folle gioco che la sorella ha architettato per lui con la complicità di Moriarty.

Sì, proprio Moriarty, che pur rimanendo morto (e così è sempre stato, sin dal finale della seconda stagione) torna a tormentare Sherlock elevando ancora di più la sfida che questa volta, inevitabilmente, è giocata tutta “all’interno” del personaggio.

L’omicidio è nascosto dentro al detective, sia metaforicamente che concretamente: il riaffiorare di terribili ricordi sepolti rappresentati dalla morte di Barbarossa, non un cane (come si è fatto credere per tutto questo tempo) bensì il primo grande amico d’infanzia per Sherlock ucciso proprio dalla sorella Euros, porta alla luce un sostrato nascosto sotto l’inattaccabile figura dell’impeccabile detective calcolatore.

Il gioco non è iniziato, non c’è nessuna caccia, né vincitori né vinti: tutti in questa stagione hanno perso qualcosa, hanno sofferto e nemmeno il grande  e invincibile Sherlock Holmes può opporsi a questo. Come più volte ripetuto dai personaggi stessi “le cose stanno così, e bisogna accettarlo”.

La risoluzione dell’enigma questa volta non sottolinea l’incredibile personalità di Sherlock, non la “innalza”, non lo incorona vincitore ma, sicuramente, lo fa crescere a livello personale rendendolo una persona migliore, ai suoi occhi e a quelli degli altri. Soffrire ci rende migliori il che, molte volte, alla fine, è la cosa più importante.

CONCLUSIONE

In una cavalcata lunga “solamente” tre episodi, ognuno dei quali ha all’interno un’incredibile potenziale tematico, questa quarta stagione ci mostra Sherlock da una prospettiva mai vista prima, o meglio: enfatizza, probabilmente al suo culmine, un percorso iniziato sin dal primo episodio.

Con sublime maestria e una qualità narrativa rasente alla perfezione, gli sceneggiatori sono riusciti ancora una volta a produrre qualcosa di nuovo, senza risultare nemmeno per un istante banali e incoerenti. I presupposti per chiudere la serie ci sono tutti, perché riuscire a creare qualcosa di migliore, giunti a questo punto, è veramente difficile.

Se poi Moffat e tutti gli altri hanno ancora voglia di stupirci (ed è ciò che tutti ci auguriamo per il bene delle serie televisive) tutti noi saremmo pronti a tornare di corsa a Baker Street.

Dove, ormai si sa, ci saranno per sempre un drogato che si sballa risolvendo crimini e un soldato mai tornato dalla guerra, seduti instancabilmente su due poltrone, pronti ad ascoltare qualche strano ed entusiasmante caso.

 

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