Recensione – Sherlock 4×02: “Il Detective Morente”

Pubblicato il 9 Gennaio 2017 alle 21:40

Niente spoiler, promesso.

Nonostante una trama più solida e un’atmosfera molto più sinistra rispetto all’insoddisfacente season premiere della scorsa settimana, Il Detective Morente presenta un’altra indagine poco intrigante rispetto a quelle delle passate stagioni. Per fortuna, alcuni toccanti momenti, conditi con ottime interpretazioni, e un finale a sorpresa davvero a sorpresa, alzano l’attesa per un season finale al cardiopalma.

Se pensate che nella scorsa puntata di Sherlock non sia successo nulla per i primi ottantacinque minuti, in Il Detective Morente dovrete tenere duro solo per la prima mezz’ora.  Dopo di che lo show (finalmente) sembra voler ingranare, e ingrana così tanto che il dirompente finale vi tormenterà fino alla prossima settimana, quando andrà in onda l’ultima puntata.

Ma andiamo con ordine.

La prima scialba e confusionaria mezz’ora rimette insieme i cocci del terribile vaso rotto che è stato Le Sei Thatcher: Sherlock e John sono gli antipodi, il primo ricaduto nel tunnel della droga – a tratti sembra più Trainspotting che lo show tv del nostro detective preferito –  e il secondo caduto nel tunnel della depressione.

Ci sono scene allucinate, flashback, effetti visivi, voci fuori campo (Sherlock cammina sui muri, alla Inception) e perfino Mrs Hudson che fa le derapate con la sua Aston Martin arancione. In questo primo atto che va avanti a perdifiato Sherlock riceve la visita di una donna, l’unica figlia di Calverton Smith (interpretato dal sempre ottimamente viscido Toby Jones): Smith è un filantropo molto british amato da tutti, che però sotto sotto, forse, chissà, potrebbe essere un serial killer. Sarebbe stato proprio Smith in persona a confessarlo alla figlia, forse, tre anni prima, durante – forse – una riunione aziendale che forse c’è stata o forse no.

La povera ragazza proprio non riesce a ricordarlo, perché Smith glielo avrebbe fatto dimenticare con una medicina speciale.  Solo che Sherlock le crede, e decide di indagare nonostante tutti i suoi problemi di droga. E il detective di Baker Street decide quindi di accusare Smith pubblicamente – su Twitter – dicendo al mondo che quel simpatico filantropo è in realtà un serial killer.

So cosa state pensando: Sherlock è drogato e mentalmente instabile, quindi la puntata sarà basata tutta sulla drammatica ambiguità che, magari, potrebbe aver accusato Smith ingiustamente. In questo modo il finale sarebbe stato scontato (perché, ehi, lui è Sherlock Holmes, e non può sbagliare!) però per lo meno ci sarebbe stata quella drammatica ambiguità a tenerci compagnia nel corso della puntata.

E invece di quell’ambiguità non c’è la minima traccia, perché non c’è mai il minimo dubbio sulla colpevolezza di Smith. Lui è chiaramente un serial killer … tutto ciò che deve fare Sherlock è riuscire ad incastrarlo ottenendo una confessione.

L’unica soddisfazione che abbiamo è scoprire come Sherlock riuscirà ad incastrarlo, ma anche in questo caso avremo bisogno di chiudere un occhio per apprezzare pienamente il modo in cui tutta la faccenda viene gestita e risolta. Anche in un mondo così grottesco ed esagerato come quello di Sherlock ci sono dei limiti oltre i quali non puoi spingerti, e la richiesta che Mary fa a Sherlock nel dvd già visto nel precedente episodio è sconclusionata e incredibile – nel senso che ci è impossibile credere che ciò a cui stiamo assistendo stia succedendo davvero.

Ma facendo ampio uso di tutta la sospensione dell’incredulità nascosta nelle nostre sinapsi, lo stratagemma col quale Sherlock acciuffa il cattivo di turno può anche passare (con una sufficienza scarsa e un calcetto nel sedere).

Vera soddisfazione la regala il secondo twist finale, proprio nell’ultima scena, nel quale John Watson si ritrova faccia a faccia con …

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