Recensione: Swamp Thing di Alan Moore 2

Pubblicato il 9 Agosto 2011 alle 18:21

Swamp Thing di Alan Moore 2

Autori: Alan Moore (testi), Stephen Bissette, Rick Veitch, Stan Woch, John Totleben (disegni)
Casa Editrice: Planeta De Agostini
Provenienza: USA
Prezzo: € 35,00, 16,8 x 25,7, pp. 432, col.

Esce il secondo volume che propone la celeberrima saga di Swamp Thing del leggendario Alan Moore, colui che, proprio con questo comic-book, nei primi anni ottanta rivoluzionò il fumetto statunitense, al pari del Frank Miller di Daredevil. L’autore britannico, occupandosi della mostruosa Cosa della Palude inventata da Len Wein e Bernie Wrightson nei seventies, rinnovò profondamente lo status del personaggio, realizzando storie horror caratterizzate da un tocco di lirismo e di profondità psicologica e letteraria inconsuete per gli standard espressivi dell’epoca.

Come sanno coloro che hanno letto il primo volume, se un tempo Swamp Thing era lo sfortunato scienziato Alec Holland che, in seguito a un incidente, moriva e si trasformava nel mostro, Alan Moore stabilì che, in verità, Swamp Thing era di fatto una pianta che credeva di essere un uomo. In poche parole, un elementale, fortemente connesso con il mondo del verde. Oltre a ciò, Moore rese più importante la bellissima Abigail Arcane che, in un episodio passato alla storia dei comics, diviene l’amante delle creatura. Per giunta, lo sceneggiatore britannico inserì Swampy in situazioni impensabili per i canoni degli eighties, in cui l’horror era sempre presente, ma in maniera sofisticata, privo di efferatezze fini a se stesse.

Moore, per giunta, si collegò a una pletora di elementi extrafumettistici che spaziavano dalla letteratura gotica e post-moderna alla Beat Generation, dalle suggestioni underground agli esperimenti narrativi e linguistici che fecero di Swamp Thing uno dei mensili più adulti e colti mai proposti dalla DC Comics. E il secondo volume conferma senza ombra di dubbio tale aspetto.

Peraltro, la lunga e complessa story-line presente nel libro è particolarmente importante poiché in questi episodi fa la sua prima apparizione John Constantine, il detective dell’occulto protagonista di quello che diventerà uno dei mensili di punta della Vertigo, Hellblazer; e molti degli avvenimenti narrati da Moore getteranno le basi proprio per la run iniziale di Hellblazer scritta da Jamie Delano (e, parzialmente, per il Sandman di Neil Gaiman). E queste storie chiariscono in maniera definitiva ciò che Moore intendeva fare con il character e Swamp Thing, grazie a Constantine e al Parlamento degli Alberi, scoprirà le sue potenzialità nonché il suo ruolo nell’ordine del creato.

Molti di questi episodi fanno parte della saga denominata ‘American Gothic’, forse la più famosa in assoluto della gestione di Moore, e, tramite essa, l’autore realizzerà una sconcertante e inquietante analisi degli Stati Uniti, una nazione terrificante, in cui gli orrori autentici non sono rappresentati dagli zombi, i lupi mannari, gli spettri o i vampiri (comunque presenti) ma da devianze più spaventose e reali: l’inquinamento (in un episodio che introduce l’abominevole Nukeface); la violenza nei confronti delle donne e la loro condizione di subalternità (con una storia che suscitò scandalo, dal momento che Moore, esplicitamente, collega la licantropia ai movimenti lunari e ai flussi mestruali e Jim Shooter, all’epoca editor in chief della Marvel, definì quella trama offensiva per l’intero fumetto americano!); l’uso scriteriato delle armi da fuoco (e qui Moore non esita ad attaccare la famiglia Winchester, creatrice dell’omonima arma); e il razzismo (in uno splendido omaggio alle atmosfere voodoo di certa cinematografia a tema zombesco).

E anche quando Moore utilizza i cliché horror, come, per esempio, i vampiri, lo fa in maniera originale e peculiare (i suoi succhiasangue sono acquatici e protagonisti di uno dei numeri forse più claustrofobici dell’intera serie). Mentre, invece, quando si accosta a orrori più terreni, come quello del serial killer Bogeyman, inserisce prepotentemente il lettore nella psiche dell’assassino, narrando l’intero episodio dalla soggettiva di un folle (tecnica che anticipa l’American Psycho di Bret Easton Ellis).

Alan Moore, poi, non dimenticò che Swamp Thing era parte integrante del DC Universe e le vicende di American Gothic si mixano a quelle di Crisis e Moore si diverte a giocare con altri importanti characters del sottobosco occulto della DC: Demon, Deadman, lo Straniero Fantasma, lo Spettro, Zatanna e Zatara, il Dr. Occult, Sargon lo Stregone, il Barone Winter, il Dr. Fate e addirittura Mento della Doom Patrol. Tra echi di Stephen King e strizzate d’occhio a Clive Barker, nonché rimandi alla psichedelia e alle controculture dei sixties, Moore inventa la Brujerìa, una setta della Patagonia, dedita ad agghiaccianti rituali di magia nera, che ha deciso di sferrare un attacco al Paradiso (e qui è evidente l’influenza della narrativa di Bruce Chatwin e del misticismo di Carlos Castaneda).

I testi di Moore sono, ovviamente, letteratura di alto livello e i disegni a dir poco ottimi, opera dei bravissimi Stephen Bissette, Rick Veitch, John Totleben e Stan Woch che con le loro trovate grafiche e gli straordinari lay-out impreziosiscono ulteriormente il volume. Non sono da trascurare nemmeno le chine del compianto Alfredo Alcala e di Ron Randall e i colori della brava Tatjana Wood. Insomma, anche questa seconda uscita dello Swamp Thing di Alan Moore è un must. E la cura editoriale? Be’, pure stavolta segnalo uno ‘Stephen Bisette’ in copertina (d’accordo, sbagliare è umano ma perseverare eccetera eccetera) e, bisogna tenerlo presente, di tanto in tanto qualche refuso c’è. Ciò non toglie che si ha a che fare con un capolavoro indiscusso.

Voto: 8

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