Sing – Recensione
Pubblicato il 10 Gennaio 2017 alle 00:07
Nel tentativo di salvare il suo teatro dalla bancarotta, il koala impresario Buster Moon indice una grande competizione canora. Tra i concorrenti emergono il giovane gorilla Johnny, disapprovato dal padre delinquente; Rosita, maialina casalinga con venticinque figli da accudire; Mike, un topo imbroglione; Ash, una porcospina che non riesce a liberarsi del fidanzato arrogante per diventare solista; e Meena, un’elefantina che soffre di ansia da palcoscenico. La possibilità di esibirsi diventa per tutti loro un’opportunità di riscatto.
La Illumination Entertainment rincara la dose e aggiusta il tiro. Forte del successo di Cattivissimo Me e dei suoi Minions, zuccherosi e buonisti nonostante il titolo, e a soli tre mesi dall’uscita di Pets, il furbo Toy Story con gli animali domestici, è la volta di una Zootropolis in salsa canora che ha il merito di puntare i fari sugli archi narrativi dei personaggi e di non giocarsi tutto sulla ruffiana componente musicale o sulle puerili gag comiche.
La sceneggiatura ripercorre con scioltezza dinamiche narrative collaudate e classiche raccontando la corsa al riscatto dei protagonisti intrappolati nelle loro insoddisfacenti esistenze e caratterizzati, nella versione originale, da un cast d’eccezione, tra cui spiccano Matthew McConaughey, nel ruolo del koala impresario, inguaribile ottimista, e Scarlett Johansson che presta la voce alla grintosa porcospina Ash.
La natura antropomorfa dei personaggi ha funzione esilarante nelle rispettive esibizione canore, dal gorilla (Taron Egerton) che canta con la voce angelica di Elton John passando per per la maialina (Reese Whiterspoon) che balla con la scioltezza di Jennifer Lopez fino al topolino (Seth MacFarlane) con le doti canore di Frank Sinatra. Tra la variegata scelta di brani musicali che arricchiscono il film, il brano originale Faith, scritta da Stevie Wonder e interpretata da Ariana Grande, ha ricevuto una nomination ai Golden Globes mentre la parte orchestrale è curata nientemeno che da John Williams.
I protagonisti vengono sottratti ai meccanismi falcidianti del talent show alla riscoperta di una più genuina catarsi artistica finale. Neanche a dirlo tutte le linee narrative trovano il loro prevedibile compimento, il lieto fine buonista è dietro l’angolo e vissero tutti felici e cantanti.