Evil Empire, l’ultimo volume [Recensione]
Pubblicato il 2 Gennaio 2017 alle 10:00
Si conclude una delle miniserie più scioccanti degli ultimi anni: Evil Empire! Cosa succederà al Presidente degli Stati Uniti più perverso e deviato di sempre? Scopritelo in questo albo scritto da Max Bemis e illustrato da Victor Santos!
Di recente si sono messi in luce alcuni sceneggiatori che stanno cercando di trovare nuove e interessanti strade espressive nell’ambito del comicdom a stelle e strisce. Uno di essi è senza dubbio Tom King che ha proposto opere sperimentali come Omega Men della DC e The Vision della Marvel. Un altro è Max Bemis che i lettori forse hanno scoperto con l’intrigante Worst X-Men Ever per la Casa delle Idee.
Editoriale Cosmo ha tradotto nell’arco di tre albi un altro suo lavoro, pubblicato negli Stati Uniti dalla Boom! Studios, e cioè la miniserie Evil Empire che definire scioccante è un eufemismo. Con questa terza uscita si conclude quindi una vicenda a forti tinte che non potrà lasciare indifferente nessuno. Definire Evil Empire non è facile. Potremmo considerarlo un fumetto di fantapolitica ma non mancano elementi thriller e noir.
Evil Empire è pure horror, dal momento che le situazioni terrificanti abbondano. Tuttavia, l’orrore evocato da Bemis non ha a che fare con zombi,vampiri, demoni e così via.
Riguarda le pulsioni più oscure e deviate dell’animo umano. Come sanno coloro che hanno letto i numeri precedenti, l’America ha un nuovo presidente, il giovane Sam Duggins. Nel corso della campagna elettorale ha mostrato al popolo americano una versione rispettabile e idealista di sé.
E certo Sam ha ideali. Questi ultimi, però, sono decisamente perversi. Le sue idee di fondo sono queste: non esistono i concetti di giusto e sbagliato; reprimere i desideri e gli istinti è un errore; l’uomo deve perseguire la libertà e quest’ultima, per essere autentica, non può essere compromessa da remore di tipo morale.
L’America guidata da Sam diviene dunque un mondo agghiacciante, in cui chiunque può letteralmente fare ciò che più gli aggrada: rubare, uccidere, stuprare, compiere atti indicibili. L’unico limite è la fantasia.
Sam, reso folle dagli abusi sessuali subiti dai genitori e impegnato pubblicamente in una relazione incestuosa con la sorella, riesce a influenzare la quasi totalità della popolazione. Solo una sparuta minoranza, capeggiata da un’aggressiva rapper, Reese Greenwood, cerca di contrastarlo. Tra Sam e Reese c’è ormai un dissidio di lungo corso e in questi ultimi incredibili capitoli i nodi vengono al pettine.
Bemis si diverte a spiazzare e a stupire, eludendo in parte le premesse narrative introdotte in precedenza. Se infatti era prevedibile uno scontro finale tra i due protagonisti, inserisce al contempo un ulteriore elemento che non cito per non spoilerare; un dettaglio che potrebbe ribaltare tutto. Mi limito a specificare che la fine è violenta ma se sarà il bene o il male a prevalere… be’, è una questione che spetterà al lettore stabilire, in base alle proprie convinzioni.
Evil Empire costringe infatti il lettore a guardarsi dentro, a farsi domande su tematiche importanti come la legalità, la giustizia, la guerra, le pulsioni sessuali e il razzismo. Non è semplicemente una lucida disamina della corruzione della politica ma l’analisi impietosa della brutalità del genere umano.
Dietro una patina di civiltà, sembra volerci dire Bemis, si cela la barbarie; ma questi concetti sono relativi poiché, se a causa di un imprevedibile mutamento sociale la barbarie diventa la norma, allora non c’è nessun problema.
In questi ultimi capitoli, inoltre, Bemis si occupa dei metodi discutibili dell’industria discografica (ambiente che ben conosce, essendo il cantante della band Say Anything), delle difficoltà inerenti all’omosessualità, della mancanza di scrupoli dei media.
E lo fa scrivendo testi profondi e dialoghi che farebbero la fortuna di un film o di un serial televisivo. Insomma, Evil Empire è una delle poche opere di recente pubblicazione che vale la pena leggere.
A illustrare questo sconvolgente story-arc c’è Victor Santos che sostituisce il più suggestivo e plastico Andrea Mutti. Lo stile di Santos è meno naturalistico. Ha un tratto contorto, volutamente grezzo che, facendo i debiti distinguo, si avvicina a certi esiti visivi del grande José Munoz.
Tuttavia, è appropriato per la rappresentazione di individui all’ultimo stadio della brutalità e svolge un lavoro impeccabile. I colori cupi e foschi di Adam Metcalf e di Juan Manuel Tumburùs si adattano alla perfezione all’America aberrante immaginata da Bemis, assimilabile all’inferno di Brueghel. Evil Empire è imperdibile. Non fatevelo sfuggire.