Recensione: Supereroi Le Leggende Marvel 8 – Wolverine – Weapon X
Pubblicato il 5 Agosto 2011 alle 10:21
Supereroi Le Leggende Marvel 8
Autori: Jason Aaron (testi), Ron Garney, Yanick Paquette (disegni)
Casa Editrice: Panini Comics
Provenienza: USA
Prezzo: € 9,99, 18 x 28, pp. 224, col.
Come ho già avuto modo di affermare, non sono un estimatore della produzione Marvel attuale, quella, per intenderci, realizzata sotto l’egida di Joe Quesada e ora finita nelle mani di Axel Alonso. Riconosco, certamente, che negli ultimi anni i fumetti della Casa delle Idee sono stati caratterizzati da molte novità, sia per ciò che concerne gli autori che si sono occupati dei Marvel heroes, sia per ciò che concerne i contenuti.
Tuttavia, ritengo che l’etichetta statunitense abbia copiato e utilizzato malamente certe intuizioni della DC, sovente ignorando anni e anni di continuity e trascurando le caratteristiche psicologiche di numerosi personaggi storici. A volte ho avuto pure la sensazione che determinati sviluppi nelle trame siano stati provocati dalla ricerca di facili effetti sorpresa e di colpi di scena fini a se stessi, mai realmente motivati da un punto di vista narrativo.
Per giunta, l’insistenza esasperata che la Marvel dimostra nello sfruttamento sempre degli stessi, risaputi characters (Uomo Ragno, X-Men, Wolverine), peraltro protagonisti di comic-book eccessivamente mainstream (per non dire stupidi), specie se paragonati a quelli più adulti di precedenti ere editoriali, me la rende piuttosto indigesta.
Non che sia tutto da buttare. Le storie di Ed Brubaker, per esempio, vanno tenute d’occhio. Lo stesso dicasi per quelle di Matt Fraction. E non si può negare che ci siano sceneggiatori abili attualmente impegnati a dare il loro apporto al Marvel Universe. E tra essi bisognerebbe, almeno a un livello ipotetico, includere Jason Aaron, una delle rivelazioni del comicdom statunitense, autore dell’ottimo Scalped della DC/Vertigo.
In casa Marvel, Aaron si è concentrato prevalentemente su Wolverine, Ghost Rider e il Punitore. Nello specifico del mutante canadese, confesso che Logan non è mai stato in cima alla mia lista di personaggi favoriti. Ne riconosco, ovviamente, l’importanza e sicuramente, grazie a Claremont, un eroe minore inventato da Len Wein ha ottenuto lo status di character di primo piano. E non sono mancate storie di Wolverine di grande qualità.
Ma come si deve giudicare il lavoro di Aaron? Una prima idea si può averla leggendo l’ottavo volume della serie Supereroi Le Leggende Marvel che include i nove episodi iniziali del serial Wolverine: Weapon X (già conclusasi in America e sostituita da un nuovo mensile, chiamato semplicemente Wolverine, sempre scritto da Aaron).
Rilevo con rammarico che Aaron, indubbiamente capace di delineare ottime story-line, con Logan non ha fatto altro che riproporre i consueti cliché e luoghi comuni che lo rendono ripetitivo e noioso. Nella prima sequenza, illustrata da Ron Garney, Aaron presenta un Wolverine rissoso e arrabbiato, pronto a fare a pezzi chiunque, coinvolto nelle prevedibili macchinazioni di società senza scrupoli, super agenti e organizzazioni spionistiche più o meno deviate. E non c’è nemmeno un pizzico di analisi psicologica e tutto rimane a un livello piatto e superficiale, con un Logan che sembra la parodia di se stesso, in un’apoteosi di mutilazioni e sangue. E neanche le apparizioni di Maverick o di una giornalista che interagirà con Logan servono a risollevare l’interesse per una trama di fatto soporifera.
Le cose vanno relativamente meglio con la seconda story-line, ambientata in un allucinante manicomio, con Wolverine trasformato in paziente e alle prese con un agghiacciante medico (o così, almeno, sembra). In questo caso, Aaron, ogni tanto, fa intravedere qualcosa della carica eversiva e incisiva da lui dimostrata in Scalped. Ma, nel complesso, pure stavolta il comic-book si rivela commerciale e stupido, con situazioni che sono meri pretesti per mostrare scazzottate e risse a tutta pagina e ovvie guest star come Psylocke e Nightcrawler. Per giunta, Aaron cade in un errore (che, in verità, fanno anche altri suoi colleghi), e cioè quello di ritenere che la violenza esplicita conferisca automaticamente un’aura di maturità adulta in un fumetto. Ma non basta vedere uomini sbudellati per considerare ‘maturo’ un serial. Dal canto mio, ritengo che tali dettagli denotino il tentativo di compiacere, invece, un pubblico di bambinoni non ancora cresciuti che sono tutto tranne che maturi.
La parte grafica è valida e sia Ron Garney che Yanick Paquette fanno un buon lavoro, con interessanti soluzioni grafiche e un efficace lay-out. E sono i disegni che mi spingono a dare una sufficienza stiracchiata a questo volume che, comunque, rappresenta un esempio significativo di ciò che è la Marvel di oggi: la Casa delle Banalità. Peccato.