Rogue One: A Star Wars Story – Recensione

Pubblicato il 15 Dicembre 2016 alle 15:36

Il geniale scienziato Galen Erso viene costretto da Orson Krennic, malvagio ufficiale dell’Impero Galattico, a realizzare la Morte Nera, una stazione spaziale in grado di distruggere interi pianeti. Anni dopo, Jyn, la coraggiosa figlia di Galen, viene reclutata dall’Alleanza Ribelle per unirsi ad un team che avrà il compito di rubare i piani della terribile arma di distruzione di massa e restituire speranza alla galassia oppressa.

Sembra una banalità affermare che Rogue One sia un vero e proprio film di guerra. D’altronde cosa ci si dovrebbe aspettare da un film di Guerre Stellari? Una corsa di sgusci? Battutacce a parte, la componente bellica di questo primo spin-off della saga è predominante rispetto agli elementi di misticismo, all’intimismo romantico e all’umorismo talvolta puerile che permeano gli episodi precedenti.

Il franchise Star Wars è ripartito lo scorso anno con Il Risveglio della Forza, preceduto da una mastodontica campagna promozionale e da aspettative altissime da parte dei fan. Ed è andata a finire con la montagna Disney che ha partorito un -ahem- topolino. Nel caso di Rogue One c’era più pessimismo a causa di voci su problemi produttivi e riprese aggiuntive. In questo caso, però, il risultato è molto più solido ed autoriale.

Il regista Gareth Edwards si è fatto conoscere con Monsters, un film intimista con i mostri alieni a fare da metaforone sullo sfondo, per poi rovesciare lo stesso concept nel nuovo Godzilla. Il suo Star Wars è drammatico come L’Impero colpisce ancora, dark come La Vendetta dei Sith e adulto come nessun altro dei capitoli precedenti.

La galassia lontana lontana è quella che conosciamo, ricostruita con la consueta tangibilità artigianale e un’ottima cgi ben integrata, mai invadente, ma è subito palese un approccio stilistico diverso, per la mancanza del testo scorrevole in apertura del film, il titolo che compare dopo il prologo, i nomi dei pianeti che appaiono in sovraimpressione e le musiche di Michael Giacchino che richiamano le sonorità di John Williams variando sui temi.

Soprattutto, Edwards mette sullo schermo quello che serve a raccontare la sua storia, non ricorre a tutti i costi a scene action gratuite e non forza il sense of wonder del pubblico. Come nella miglior tradizione della saga, si parte da una storia di famiglia con la protagonista Jyn (l’adorabile Felicity Jones) che ha il compito di trovare i piani per distruggere la Morte Nera, una sorta di “sorella” disfunzionale poiché entrambe sono figlie di Galen Erso (Mads Mikkelsen).

La vicenda ricalca gli stilemi di Quella sporca dozzina o di Bastardi senza gloria. A tal proposito la sequenza d’apertura di Rogue One ricorda da vicino il film di Tarantino. La protagonista è affiancata da un cecchino infallibile che le nasconde la sua vera missione (Diego Luna), un droide imperiale riprogrammato che si fa carico di ciniche gag comiche (Alan Tudyk), il monaco della Forza cieco (Donnie Yen), coi sensi affinati e che combatte con un bastone (vi ricorda niente?), l’assassino freelance che ha perso la fede nella Forza (Wen Jiang) e un nevrotico ex-pilota imperiale (Riz Ahmed).

Emergono dalla sceneggiatura le zone d’ombra della ribellione e la galassia non è più semplicemente divisa tra buoni e cattivi come testimonia Forest Whitaker nel ruolo del terrorista estremista. Il villain Krennic (Ben Mendelsohn) vede le sue ambizioni frustrate dall’ammiraglio Tarkin, che viene qui ricostruito con una discutibile motion capture.

La mastodontica battaglia finale è esattamente quella che non abbiamo visto ne Il Risveglio della Forza con le tre linee narrative, la battaglia stellare, quella terrestre e la missione stealth, sviluppate con la stessa attenzione, afflato epico e un finale da tragedia greca.

E poi, naturalmente, c’è il fan service, croce e delizia del film, buchi di continuity tappati, ammiccamenti e comparsate inutili di personaggi cult. A sintetizzare tutto questo la presenza di Darth Vader, terrificante in un paio di sequenze memorabili, seppure non strettamente necessarie. La sorpresa che riserva l’epilogo vi piacerà, vi farà arrabbiare o, se siete autentici fan della saga, entrambe le cose.

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