Recensione – Westworld 1×10: “The Bicameral Mind”
Pubblicato il 5 Dicembre 2016 alle 18:25
“Queste gioie violente hanno violenta fine.”
Eccoci qui, dunque.
Dopo novanta minuti di grande narrazione, Westworld ci dà l’arrivederci alla prossima stagione con un finale non proprio inaspettato, ma senz’altro sorprendente.
Le trame intessute da Lisa Joy e Jonathan Nolan (che qui torna alla regia, dopo aver diretto il pilot) si sono rivelate essere quelle del dottor Ford, vero e proprio deus ex machina della vicenda: negli ultimi episodi il personaggio interpretato da Anthony Hopkins aveva iniziato una discesa verso il lato oscuro che ci aveva portato a considerarlo il vero villain della storia, ma con uno dei suoi drammatici e significativi monologhi ha saputo spiegare le sue ragioni, sorprendendo un po’ tutti.
Devastato dalla morte di Arnold (ucciso per mano di Dolores, ma è lecito considerarlo un suicidio) il dottor Ford ha passato i suoi ultimi trentacinque anni in attesa che gli host raggiungessero la piena autocoscienza e realizzassero il sogno del suo ex collega. La sua uscita di scena è stata davvero emozionante, soprattutto perché inaspettata, ed estremamente catartica.
Arnold aveva capito che Dolores era viva, e che di conseguenza anche altri host sarebbero potuti diventarlo, e il suo unico desiderio era chiudere il parco. Dopo anni di sofferenze e soprusi (il motore primario e fondamentale per riuscire a capire se stessi, come avrebbe scoperto William) Dolores è riuscita a vendicarsi con i gestori del parco, gli dei che permettevano tutte quelle atrocità inflitte agli host.
Ma ridurre The Bicameral Mind a semplice epilogo per la storia del dottor Ford sarebbe ingiusto. Così come sarebbe ingiusto sminuire l’efficacia dei colpi di scena architettati da Jonathan Nolan soltanto perché nel corso di queste settimane avevamo intuito il suo doppio-gioco: si, William e l’Uomo in Nero sono davvero la stessa persona, e si, la storyline di Dolores mescola eventi passati e presenti con lo scopo di ingannarci e farci credere che tutto stia avvenendo simultaneamente; ma è già di per se ammirevole il fatto che abbia preparato un intreccio così complesso e intricato, non credete?
Che poi lo abbia effettivamente realizzato, lungo un percorso durato dieci episodi, lasciandoci nel dubbio fino all’ultima mezz’ora, ci fa capire il livello raggiunto da questa ottima serie (che, attualmente, nel panorama televisivo americano per qualità e temi trattati è lontana anni luce da ogni metro di paragone).
Ricordiamo che Memento, la prima delle uniche due sceneggiature di Christopher Nolan candidate all’Oscar, nacque da un racconto del fratello Jonathan. Si influenzano a vicenda, i due fratellini, e in questo senso la mano di Chris si nota molto nello stile così evidentemente nolaniano che impregna tutta la serie HBO, stile che Jonathan ha saputo però amalgamare e riproporre aggiungendoci qualcosa di suo: l’esplorazione, l’analisi e la caratterizzazione della psicologia di una protagonista femminile.
Christopher Nolan è sempre stato lontano dal mondo femminile (molti lo hanno paragonato a Stanley Kubrick, ma non credo che C. Nolan sarà mai in grado di dirigere qualcosa come Eyes Wide Shut), quasi che non gli interessi; Jonathan invece è ammaliato dalle donne, dal modo in cui guardano il mondo, dall’atteggiamento che assumono nei confronti del mondo per comprenderlo (o affrontarlo, quando necessario) e da come riescono a relazionarsi con esso.
Le donne di J. Nolan sono forti e intraprendenti e molto più intelligenti degli uomini intorno a loro: è Maeve che usa Felix ed Hector per fuggire dai laboratori, così com’è Dolores a confortare Teddy nell’ultima scena. Donne sicure ed insicure allo stesso tempo, capaci di amare e odiare e uccidere e capire il senso della vita.
In quest’ottica è facile vedere in Westworld un inno all’indipendenza femminile (sicuramente le mani di Lisa Joy alla sceneggiatura hanno aiutato), ma sarebbe troppo banale ridurre il significato di questi dieci episodi ad una sola chiave di lettura.
Abbiamo già parlato dei temi affrontati dalla serie durante le scorse settimane, e ripetersi sarebbe ridondante: la metafora della caverna di Platone, o del mostro di Frankeinstein, o dell’incontro con Dio, riassunto splendidamente in questo episodio nella scena del dipinto “Creazione di Adamo” di Michelangelo.
Ognuno può vederci ciò che vuole in Westworld, ognuno può imparare la lezione che più preferirebbe apprendere. Del resto, il parco è stato creato per questo, no?
Nota finale: la prossima stagione avrà un’ambientazione diversa dal selvaggio west? Nel biglietto che Felix consegna a Maeve possiamo notare la dicitura “Parco n.1”, che suggerirebbe la presenza di altri parchi; e i samurai apparsi brevemente durante le scene della fuga dai laboratori potrebbero essere un simpatico esempio di “spoiler consensuale” con cui Nolan ha voluto salutarci.
Staremo a vedere.
In attesa della seconda stagione di Westworld, ricordate: bring yourself back online.