Sully – Recensione

Pubblicato il 4 Dicembre 2016 alle 23:11

Il 15 gennaio 2009, il volo commerciale US Airways 1549, partito dall’aeroporto La Guardia di New York, perde l’uso di entrambi i motori a causa dell’impatto con uno stormo di uccelli. Il comandante Chesley “Sully” Sullenberger, assistito dal copilota Jeffrey Skiles, decide di effettuare una rischiosa manovra realizzando un miracoloso atterraggio sulle acque gelide del fiume Hudson e salvando così le 155 persone a bordo. Nonostante venga celebrato come un eroe, l’indagine della NTSB sull’incidente rischia di distruggere la carriera e la reputazione di Sully.

Sui maxischermi di Times Square scorrono le immagini dell’impresa di Sully che celebrano l’eroe del giorno tra le mille insegne luminose di brand commerciali, una cacofonia consumistica nella quale spicca anche il volto di Clint Eastwood, un’ironica strizzatina d’occhio autoreferenziale del regista. Mentre tutti guardano verso l’alto, verso la figura glorificata dai media, Sully transita per strada facendo jogging, passando inosservato e attanagliato dai dilemmi.

Eastwood rende l’ennesimo omaggio all’uomo comune proiettato dal suo ruolo istituzionale in una situazione straordinaria. Il film si ascrive alla lista di drammatizzazioni da fatti reali e recenti che ne rendono la messinscena difficoltosa per l’impossibilità di romanzare, spettacolarizzare o concedersi troppe licenze. Eastwood, però, proprio come il protagonista della storia, sfugge ad ogni insidia, non scade nell’elegia dello Snowden di Oliver Stone e non si limita alla distaccata ma precisa ricostruzione dei fatti di Deepwater Horizon, tanto per citare i due titoli più recenti.

Anzi, lo stile asciutto ed essenziale del cineasta coniuga due modi opposti di fare cinema. Il flashback che occupa la parte centrale del film e ricostruisce l’atterraggio dell’aereo nell’Hudson, in un sontuoso formato IMAX, ha tutte le caratteristiche dell’avvincente disaster movie hollywoodiano, mentre le vicende procedurali e lo sguardo intimista sul protagonista si rifanno più al piccolo cinema indipendente.

Sfaccettato dal miglior Tom Hanks degli ultimi anni, Sully è in preda ad un disordine post-traumatico proprio nel momento in cui la sua impresa potrebbe essere la terapia per la psicosi post-11 settembre, newyorkese nello specifico, americana e mondiale più in generale. Gli fa da contraltare Aaron Eckhart, prototipo del classico eroe americano, biondo, con gli occhi azzurri e il mascellone, abituato ai ruoli istituzionali (Il Cavaliere Oscuro, Attacco al potere), qui nei panni del co-pilota più autoironico e rilassato rispetto al collega.

Metacinematografico il confronto finale tra la ricostruzione simulata dell’incidente e il flashback che scaturisce dalle registrazioni di bordo. Due messinscena degli eventi distinti esattamente dallo stesso elemento che sancisce la differenza tra una rappresentazione senz’anima, che si limita a seguire per filo e per segno una sceneggiatura, e un film reso appassionante dai talenti al lavoro in ogni fase produttiva: l’elemento umano.

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