Recensione Un Americano alla Corte di Re Artù – Nicola Pesce Editore
Pubblicato il 10 Maggio 2010 alle 12:04
Autori Lino Landolfi, Danilo Forina (testi), Lino Landolfi (disegni)
Casa Editrice Nicola Pesce Editore
Provenienza: Italia
Prezzo € 19,90
A cura di Sergio L. Duma
Uso di rado il termine capolavoro. Un po’ per prudenza. Un po’ perché i capolavori, per loro natura, sono rari. Stavolta, però, devo utilizzarlo e sono consapevole che la parola in questione è riduttiva. Ma, sinceramente, non mi sento di definire Un Americano alla Corte di Re Artù in maniera diversa. Innanzitutto, bisogna puntualizzare che il volume è l’adattamento fumettistico di un racconto di uno dei più grandi scrittori americani di sempre, Mark Twain (Hemingway sosteneva che la letteratura americana propriamente detta nasceva con Samuel Clemens, da tutti conosciuto con lo pseudonimo di Mark Twain, appunto).
E se Twain è indubbiamente grande, bisogna citare un altro artista, anche lui caratterizzato da indiscutibile grandezza, e cioè Lino Landolfi. Il compianto autore, morto nel 1988, è stato uno dei più grandi esponenti del fumetto italiano e pubblicò molte opere in storiche riviste come ‘Il Vittorioso’ o ‘Il Giornalino’. Spesso e volentieri dedicò le sue energie creative a versioni fumettistiche di classici della letteratura come ‘Don Chisciotte’ o ‘Tartarino di Tarascona’.
Da qualche tempo, Nicola Pesce Editore sta meritoriamente riproponendo i lavori di questo maestro del fumetto e si può dire, senza tema di smentita, che Un Americano alla Corte di Re Artù è uno dei migliori, se non forse il migliore in assoluto. Uscito originariamente su ‘Il Messaggero dei Ragazzi’ è la storia divertente di un giovanotto americano che, per una serie di bizzarre circostanze, finisce nell’epoca di Re Artù, interagendo con il leggendario sovrano, con il Mago Merlino (raffigurato come un cialtrone farsesco), con Lancillotto e con altri personaggi della saga arturiana.
Il tratto di Landolfi non è realistico ma presenta le caratteristiche tipiche del disegno umoristico e in parte di quello caricaturale; senza, però, mai cadere nel cartoonesco fine a se stesso; e ciò evidenzia la peculiarità e la personalità stilistica di Landolfi. Come avrà modo di notare il lettore attento, Landolfi rivela gusto e sensibilità nella costruzione della tavola e negli sfondi di ogni vignetta, particolari che rendono il volume imperdibile.
Ma Landolfi era anche bravissimo per ciò che concerne i testi. Questi sono certamente in linea con la vivacità di Twain (e peraltro va ricordato che Landolfi scrisse diverse opere di narrativa). Per giunta, Landolfi, ideando, con intenti ironici, una specie di linguaggio pseudo-medievaleggiante, rivela notevole perizia nei giochi di parole e nei neologismi.
Ma il libro presenta pure un rifacimento, più breve, della stessa storia, realizzata per la casa editrice inglese Fleetway. E potrete vedere le analogie e le differenze tra le due versioni, specie per ciò che concerne i riferimenti (per esempio, i Beatles nella versione anglosassone). E, anche in questo caso, i disegni, nonché i testi, di Landolfi sono magnifici. Il libro si conclude con un’altra gemma: la versione a fumetti di un ennesimo racconto di Mark Twain, Il Furto dell’Elefante Bianco. Qui Landolfi si occupa solo delle matite (in maniera egregia), mentre i testi sono scritti da Danilo Forina, sceneggiatore appartenente a una generazione precedente quella di Landolfi, il cui stile è magari più datato, ma comunque intrigante.
Il volume va tenuto d’occhio, inoltre, per l’ottima introduzione di Gianni Brunoro, per un’intervista al figlio di Landolfi, Lamberto, nonché per un’esauriente e utile biblio-fumettografia. Segnalo, infine, la qualità di stampa e la bella veste editoriale del libro. Se non conoscete Landolfi, leggetelo. E il consiglio è rivolto ai lettori ma anche ai cosiddetti ‘talenti’ del fumetto italiano odierno che, forse, potrebbero imparare da Landolfi qualcosa che, evidentemente, hanno dimenticato o non hanno mai appreso: essere in grado di raccontare una storia, senza velleitarismi e intellettualismi insulsi.
VOTO 9