Ouija: L’origine del male – Recensione

Pubblicato il 4 Novembre 2016 alle 23:27

Los Angeles, 1967. La vedova Alice Zander è una truffatrice che organizza sedute spiritiche con l’aiuto delle due figlie, Lina e Doris. Quando Alice decide di introdurre la tavoletta Ouija nella messinscena, la piccola Doris entra davvero in contatto con uno spirito e pensa che si tratti del suo defunto padre. La bambina diventa così il tramite di una qualche forza maligna.

Ouija L'origine del male poster (2)

Ormai da qualche anno la Hasbro sta portando sul grande schermo le sue proprietà tra le quali, oltre ai Transformers, ai G.I. Joe e a Jem, figura anche la tavoletta Ouija. Certo, realizzare dei film nei quali i protagonisti che vengono in possesso della tavoletta finiscono morti ammazzati non sembra proprio la mossa promozionale più intelligente. Il primo episodio, uscito lo scorso anno, era anonimo ed affogava in un minestrone di cliché, tuttavia è riuscito ad incassare cento milioni di dollari a fronte di un budget irrisorio. Quindi via libera al sequel, anzi, al prequel.

La caratteristica della tavoletta Ouija è quella di muoversi a causa del riflesso motorio involontario di chi la utilizza. Si ha così la sensazione che la planchette si sposti sul quadrante a causa di una forza invisibile. Quindi la domanda da cui parte il film è: quando i protagonisti iniziano ad utilizzare la tavoletta, c’è davvero una presenza sovrannaturale o è uno di loro che la fa muovere? Uno spunto semplice ma avvincente dal quale si potrebbe tirar fuori un ottimo thriller tenendo il pubblico nel dubbio fino alla fine.

Il regista e co-sceneggiatore Mike Flanagan cerca di sfruttare il concept meglio di quanto sia stato fatto nel primo episodio ma la tensione costruita con buon mestiere nella prima parte crolla nell’ennesima variazione sul tema de L’Esorcista e il giocattolo alla base della storia viene lasciato molto in disparte.

La piccola Doris diventa un incrocio tra Damien de Il Presagio e Mercoledì de La Famiglia Addams con effetti involontariamente comici. La componente horror è gravata da brutti effetti digitali e da un pg-13 che confina fuori campo tutti i potenziali effetti raccapriccianti e ci si rifugia troppo spesso negli jump scare. L’epilogo vuole sferrare un facile pugno allo stomaco al pubblico e costituisce la legge del contrappasso per le protagoniste truffatrici. La scena durante i titoli di coda apre ad uno scongiurabile sequel.

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