Doctor Strange – Recensione in anteprima
Pubblicato il 26 Ottobre 2016 alle 08:35
Stephen Strange è un arrogante neurochirurgo di fama mondiale le cui mani restano gravemente danneggiate in seguito ad un incidente stradale. Disperato e disposto a tutto pur di ottenere una guarigione che sembra impossibile, Strange si reca a Kamar-Taj, un’isolata comunità situata sull’Himalaya e guidata dall’Antico che lo inizia alle Arti Mistiche. Strange scopre così l’esistenza di altre dimensioni e di forze oscure che minacciano il nostro piano dell’esistenza e dovrà diventare lo Stregone Supremo per affrontarle.
Al 177A di Bleecker Street, nel Greenwich Village di New York, sorge il Sanctum Sanctorum dal quale il Dottor Strange, Stregone Supremo e Signore delle Arti Mistiche, protegge l’universo Marvel da quelle minacce mistiche contro le quali gli Avengers sono impotenti. Creato da Steve Ditko e comparso per la prima volta nel 1963 sulle pagine di Strange Tales, il personaggio racchiude in sé la fascinazione per la controcultura psichedelica che esplose all’inizio degli anni ’60.
Fin dagli anni ’80 si è cercato di portare sul grande schermo le avventure dello Stregone Supremo che viene ora inserito nel già avviato Marvel Universe cinematografico. La casa di produzione si è affidata ad un cast di altissimo livello e a Scott Derrickson, un regista che si è fatto il nome con L’esorcismo di Emily Rose ed ha al suo attivo horror-thriller di qualità altalenante quali Sinister 1 e 2 passando per il terribile Liberaci dal male.
Si potrebbe pensare che Derrickson sia il solito mestierante ingaggiato dai Marvel Studios per dirigere il consueto prodottino convenzionale e in parte lo è. Il film è una storia delle origini che va dalla A alla B, con dinamiche risapute e dialoghi impacchettati che servono ad introdurre al pubblico generalista quegli elementi mistici del Marvel Universe che i fan conoscono già.
Benedict Cumberbatch, amatissimo Sherlock Holmes televisivo nonché uno dei migliori attori contemporanei, tira fuori dalle vignette del fumetto il manto di Strange e se lo mette sulle spalle conferendo al personaggio profondità e carisma ma anche un’ironia che stride con l’indole severa e rigorosa dell’originale. Le sue peculiarità più spigolose si fermano all’arroganza. Non c’è traccia, ad esempio, dell’alcolismo o della sua fama di donnaiolo.
Tilda Swinton fornisce la versione femminile dell’Antico, saggia e sarcastica nonché ambigua, al punto da rappresentare il punto di svolta nel rapporto tra il protagonista e Baron Mordo, tratteggiato da Chiwetel Ejiofor, qui funzionale ma rimandato al sequel. Rachel McAdams passa dallo Sherlock-Iron Man Robert Downey Jr. allo Sherlock-Strange nei panni della traumatologa Christine Palmer che funge da motore emotivo per il protagonista.
Mads Mikkelsen, l’Hannibal Lecter televisivo, si trova a suo agio nel ruolo del cattivo Kaecilius che, tanto per cambiare, esprime la sua filosofia in un intenso faccia a faccia con l’avversario quando è apparentemente suo prigioniero. Scena che richiama quella dell’interrogatorio de Il Cavaliere Oscuro ormai citata fino alla nausea.
Croce e delizia dei film Marvel è il tono. In questo caso la componente comica tende ad essere piuttosto invadente e a smitizzare alcune delle sequenze potenzialmente epiche della storia. Intendiamoci, l’umorismo va bene. I dialoghi tra Cumberbatch e la McAdams sono gradevoli e lei è deliziosa nelle sue reazioni alle stranezze che iniziano a verificarsi intorno a lei.
Più inappropriate alcune gag che stridono col contesto andando a sgretolare una sospensione dell’incredulità già messa a dura prova dai contenuti del film, dalla battuta sul wi-fi che potete sentire anche nel trailer a Wong, ridotto in alcuni momenti ad un’imbarazzante macchietta, che consulta i libri della biblioteca di Kamar-Taj ascoltando Beyoncè.
Eppure, nonostante una trama non certo originale e qualche stupidaggine di troppo, il film funziona. Se Guardiani della Galassia è stato l’unico film della saga ad avere una forte impronta autoriale, Doctor Strange è il primo nel quale il regista si è preoccupato di mettere sullo schermo uno spettacolo visivo all’altezza della situazione, seppure gli effetti digitali della ILM avrebbero avuto bisogno di un’ulteriore limata.
Finalmente c’è un 3D che funziona dal primo all’ultimo fotogramma e veniamo trascinati in trip psichedelici in soggettiva, assistiamo a spassose scazzottate sul piano astrale che rimandano più agli anime che ad un fumetto americano, voliamo in una Dimensione Specchio che mescola le suggestioni di Inception e Matrix. La sequenza finale con i personaggi che si muovono mentre la realtà intorno a loro fa rewind è un’idea che funziona senz’altro meglio sullo schermo che sulla carta ed ha anche un suo significato metanarrativo.
Due le scene durante i titoli di coda delle quali vi diremo solo che la prima rimanda ad uno dei film Marvel in uscita l’anno prossimo. L’altra apre al sequel e si tratta di un momento importante della storia che sarebbe stato più giusto inserire all’interno del film.
Tra pregi e difetti, c’è un momento in particolare che resterà comunque nel cuore di tutti i fan. Vediamo Strange che passa da una possibile disfatta a levarsi in volo nel Sanctum Sanctorum, tenuto per aria dalle note epiche di Michael Giacchino, indossando per la prima volta la Cappa della Levitazione e l’Occhio di Agamotto. Un istante iconico e davvero emozionante che dimostra come andrebbe sempre trattato il mito supereroistico sul grande schermo.