Recensione – Black Mirror, terza stagione

Pubblicato il 28 Ottobre 2016 alle 16:25

Netflix resuscita la serie tv britannica sulla distopia tecnologica creata da Charlie Brooker, con sei nuovi episodi (ovviamente tutti stand-alone) che sanno inquietare, divertire e far riflettere.

E’ stata una settimana molto, molto dura.

Tra l’influenza, il ritorno di The Walking Dead (sempre più parodia di se stesso), la pioggia e il recupero dei primi due episodi di The Young Pope (che mi ero perso, e che avrei fatto meglio a lasciare indietro), tutto è stato nero e triste e di un finto pessimismo più commerciale che intellettuale.

Da piccolo critico da due soldi quale sono però non mi sono perso d’animo, e ho voluto rinvigorire la mia anima più cinica e nichilista approfittando della su-citata influenza per spararmi tutta insieme la terza stagione di Black Mirror, serie antologica che ho odorato nelle precedenti due incarnazioni e che Netflix ha preso in mano producendo ben sei nuovi episodi.

E in un batter d’occhio durato un pomeriggio The Walking Dead, Greg Nicotero e Paolo Sorrentino sono diventati i brutti ricordi di pessime esperienze capitate ad un’altra persona.

Ma niente fronzoli, non perdiamo tempo che il tempo è tiranno e lo spazio a disposizione lo è ancor di più: Black Mirror 3, sei episodi stand-alone di circa un’ora (con eccezione dell’ultimo episodio che è praticamente un film di 90 minuti) che ci raccontano sei diverse vite, sei diversi mondi soggiogati dall’abuso della tecnologia.

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In Caduta Libera abbiamo la bellissima e sempre sorridente Bryce Dallas Howard che vuole in tutti i modi emergere in una società che vive di popolarità ottenuta grazie a tweet e post sui social network; in Giochi Pericolosi un turista americano (che sembra parente di Thor) arriva in Inghilterra dopo aver fatto il giro del mondo e diventerà il beta-tester di un videogioco horror basato sulla realtà virtuale; Zitto e Balla racconta la storia di un ragazzo vittima del cyberbullismo che viene ricattato da sconosciuti e costretto ad eseguire ordini sempre più pericolosi e compromettenti; il bellissimo San Jupitero ci racconta un al di là tecnologico che tra amori saffici e viaggi nel tempo si fa anche metafora dell’eutanasia; Gli Uomini e il Fuoco è uno sci-fi bellico a metà fra Starship Troopers e 28 Giorni Dopo in cui però niente è come sembra; e il gran finale da un’ora e mezza Odio Universale che tratta in modo molto, molto intelligente (com’è del resto molto intelligente tutta questa magnifica serie) i così tristemente attuali problemi di ambientalismo e gogna mediatica.

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Sei episodi, quindi, su ognuno dei quali, credetemi, si potrebbe parlare per decine di articoli.

Personalmente ho trovato un po’ deludente la prima puntata, Caduta Libera (che è un’inquietante parodia degli schiavi dei social network) con una Dallas Howard molto buona nella parte ma un finale buonista e poco coraggioso che stona molto con le atmosfere di Black Mirror; avrei gradito una Lacie più sfacciata, anche più arrivista, che nel momento in cui si fosse trovata così tanto con le spalle al muro, pur di raggiungere il proprio scopo fosse arrivata a, non so, vendere la propria anima (o perché no il suo corpo) invece che ribellarsi al sistema di valori di quella società così tanto basata sull’apparenza (com’è la nostra del resto: con un mio amico mi piace definirla “dedita all’appariscentismo“).

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Intelligente Giochi Pericolosi, che è molto horror non tanto per ciò che vediamo su schermo quanto per l’idea che la realtà virtuale (è uscito da pochissimo il visore VR per la Playstation 4) possa friggerci il cervello.

Molto thriller adrenalinico (e anche claustrofobico per come strozza le possibilità del protagonista) Zitto e Balla, sul cyberbullismo e il ricatto e la paura di finire sulla gogna mediatica (e il tristissimo, amarissimo finale, tra l’altro, è perfettamente calzante per un episodio di Black Mirror ed è quello che avrei voluto anche per la bella Bryce Dallas).

L’episodio più bello (sempre a detta di questo antipatico critico, che ha iniziato la recensione di una cosa che con Sorrentino non c’entrava niente prendendosela proprio con Sorrentino: proprio non mi calano quelle due ore della mia vita sprecate dietro alla finta eleganza stilistica di un regista che, per me, ricicla continuamente se stesso, e che amerebbe, oh quanto amerebbe essere lo Stanley Kubrick che cita in The Young Pope; (però non lo è e mai lo sarà)) è quello con la bellissima Mackenzie Davis, che veniva dagli anni ’80 di un’altra bella serie (che però racconta la nascita della tecnologia), Halt and Catch Fire e che sarà nel Blade Runner 2049 di Denis Villenueve (tra l’altro, ora che ci penso, ricorda un po’ la giovane Daryl Christine Hannah).

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La puntata è intitolata San Jupitero dove San Jupitero è una sorta di al di là computerizzato dove, chi sta per morire, può scegliere di andare grazie ad un programma tecnologico che, appunto, simula la vita dopo la morte. A San Jupitero ci si può divertire, ci si può innamorare, e si può vivere per sempre.

L’episodio è ben scritto, ben interpretato, è drammatico e romantico e appassionante e molto commovente nel finale.

E lei, la bella Mackenzie, è perfetta per il ruolo anche perché indossa alla perfezione tutti i look con i quali i costumisti la vestono (la realtà di San Jupitero oscilla continuamente tra anni ’80, anni ’90 e nuovo millennio, e lei veste con eleganza e sensualità ogni tipo di moda).

Molto ma molto tenebroso lo sci-fi Gli Uomini e il Fuoco, che dietro la patina del genere bellico fantascientifico nasconde una vena filosofica molto potente, con questo velo di Maya che nel finale viene sollevato mettendo il protagonista davanti ad un’orribile scelta morale.

E molto incalzante l’ultimo episodio, Odio Universale, che racconta la caccia ad un serial killer che agisce attraverso i social e gli hashtag colpendo i personaggi pubblici più disprezzati dalla community dei social network in un mondo in cui le api si sono estinte e l’ecosistema si basa su api-droni che forse il serial killer, in qualche modo, riuscirà ad hackerare e di cui prenderà il controllo.

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La cosa incredibile di questa serie è la fantasia oscura con la quale lo sceneggiatore e creatore Charlie Brooker partorisce storie sempre differenti e sempre interessanti, e la varietà di situazioni e di mondi paralleli al nostro (del quale sono sempre e comunque un’immagine distorta) così autentici sono i veri punti di forza di una serie che, ad ogni puntata, disarma completamente lo spettatore mandandolo incontro ad un destino incerto, del quale non sappiamo niente perché ogni volta, finito un episodio, in quello successivo siamo dinanzi a qualcosa di totalmente nuovo e inedito.

E con Black Mirror 3 Netflix ci regala altre sei favole nere, tutte con una loro morale e chiavi di lettura piene di raziocinio. (Altro che gli aforismi preconfezionati di quel rivolante pallone gonfiato di Pio XIII, che è la brutta copia bionda e vestita di bianco di Frank Underwood.)

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