Festival di Roma: Recensione – Train to Busan

Pubblicato il 22 Ottobre 2016 alle 12:55

Dopo aver spopolato nella sezione Midnight a Cannes 2016, l’horror apocalittico Train to Busan arriva al Festival di Roma per terrorizzare (e commuovere) la platea della Città Eterna.

Vi ricordate The Road, quel bellissimo dramma post-apocalittico con Viggo Mortensen e diretto da John Hillcoat, tratto dall’omonimo romanzo di  Cormac McCarthy che vinse addirittura il Pulitzer nel 2007?

In quella pellicola il rapporto padre/figlio veniva analizzato in modo del tutto originale, con la società che era collassata e gli uomini che avevano iniziato a pensare per se stessi, mentre Viggo Mortensen doveva badare per primo a suo figlio. Era tenero, spietato, drammatico. Era The Road, uno dei migliori ed originali film sul tema genitori-figli che potrete mai vedere.

Esattamente dieci anni dopo arriva Train to Busan, che è una variazione sullo stesso tema declinato all’horror: togliete Mortensen, spostate tutto in Corea del sud, sostituite il figlio con una figlia, rimpicciolite le desertiche e desolate strade dell’America post-apocalisse in angusti e lussuosi vagoni di un treno ad alta velocità, e soprattutto mettete zombie famelici ed epilettici al posto dei predoni affamati così abilmente descritti da McCarthy (nel suo romanzo) e da Hillcoat (nel film).

Il regista/sceneggiatore Yeon Sang-ho (quello di The King of Pig e The Fake, due film animati, qui al suo primo lungometraggio live-action) ci racconta la storia di un padre problematico che proprio fallisce sotto tutti i punti di vista nel ruolo del padre (divertentissima la scena del regalo di compleanno, quando lui porta alla figlioletta una Wii-u senza essersi ricordato di avergliela regalata qualche mese prima) che finalmente cede ad una richiesta della sua figlioletta: lei, che è la tenera, dolcissima, struggente e bravissima decenne Kim Su-an, non vuole altro che prendere il treno per Busan per andare a far visita alla madre (i suoi, come si conviene in ogni storia genitori-figli che si rispetti, sono divorziati).

Il padre di lei, il bravissimo Gong Yoo, proprio non ne vuole sapere, perché pensa solo al lavoro, perché è un bastardo egoista e perché nella rubrica del cellulare ha denominato l’ex moglie proprio così, “ex moglie”. Solo che alla fine accetta, e quindi padre e figlia comprano due biglietti per Busan e via sul treno ad alta velocità che però, però, però …

Sottile sottile c’è anche la presenza di George Romero – nessun film di zombie che vorrebbe essere tale può permettersi di ignorare la lezione sociopolitica dei film di Romero – con gli zombie che al buio non sono altro che una massa di pecore disorientate, attratte dai rumori (soprattutto da quello del cellulare: che bella considerazione che ha degli esseri umani Sang-ho!) e i media che continuano a mentire e a ripetere che andrà tutto bene anche quando su internet si diffondono video inquietanti di persone infette che prendono a morsi chiunque gli capiti a tiro.

Ma c’è anche il buon World War Z, soprattutto per gli effetti digitali che riproducono i fiumi di corpi ammassati uno sopra all’altro che avanzano come una cosa sola, riversandosi e schiacciando tutto ciò che incontrano. A differenza del film di Marc Forster con Brad Pitt, però, c’è molta meno azione supereroistica da Action Man e molta, ma molta più introspezione, con alcune scene finali che davvero ti prendono alla gola e ti cavano le lacrime dagli occhi.

Bravissimi anche i coprotagonisti Jung Yu-mi e Ma Dong-seok, marito e moglie (lei incinta) che padre e figlia incontreranno sul treno e coi quali collaboreranno per sopravvivere. Proprio il personaggio del massiccio (ma in fondo dal cuore tenero) Jung Yu-mi sarà quello che esplorerà di più la componente comedy del film, che in più di un passaggio ci farà piegare in due dalle risate (che bel popolo stravagante che è quello asiatico, ad ogni sua longitudine).

Train to Busan, ricordatevi il titolo e correte a recuperarlo. Un film di (o in) prima classe a tutta velocità, divertente, cinico, splatter, disgustoso, drammatico e molto molto appassionante.

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