Captain Fantastic – Recensione
Pubblicato il 9 Dicembre 2016 alle 22:46
Ben Cash e sua moglie Leslie hanno deciso di crescere i loro sei figli nella foresta del Pacific Northwest, lontano dallo stile di vita occidentale ed insegnando loro a sopravvivere alle asperità della natura selvaggia. Quando la donna muore in ospedale a causa di un disordine bipolare, Cash e i figli decidono di recarsi al funerale per adempiere alle sue ultime volontà ma l’impatto con la società civile e con i loro famigliari sarà estremamente difficoltoso.
E’ noto che, all’inizio della sua carriera, Viggo Mortensen fu provinato per il ruolo da protagonista in Greystoke – La leggenda di Tarzan, il signore delle scimmie ed è piuttosto curioso poiché Captain Fantastic non è altro che una variazione sul tema dell’uomo cresciuto nella giungla che deve vedersela con il cosiddetto mondo civile. In questo caso, però, non si tratta di Cash, il personaggio interpretato da Mortensen, già consapevole del mondo al di fuori della foresta, bensì dei suoi figli, completamente estranei alla società contemporanea.
Il road-movie di Matt Ross è un dramedy che si regge in miracoloso equilibrio tra la componente drammatica e quella comica facendo sparire la linea di confine tra le due e gioca in maniera deliziosa con il genere young adult. I sei giovani cresciuti dal padre tra ardue prove di sopravvivenza, letture impegnate e filosofia hippie non appaiono accattivanti come i protagonisti di un Hunger Games. Trascinati nella cornice realistica e minimalista tipica del cinema indipendente, si dimostrano solo dei dissociati incapaci di relazionarsi col mondo esterno dando vita ad agrodolci momenti d’intimismo.
La scena madre del film vede padre e figli presentarsi al funerale di Leslie vestiti in maniera stravagante con il discorso di Viggo Mortensen che rappresenta uno schiaffo al conformismo e all’ipocrisia borghese. Gli fa da contraltare Frank Langella nel ruolo del ricco suocero, respingente all’inizio ma la prospettiva pian piano si rovescia e Cash è costretto a rimettere in discussione se stesso.
La risoluzione è però troppo immediata, gli eventi hanno una brusca accelerata prendendo una facile scorciatoia verso la riconciliazione, la catarsi e il parziale compromesso finale per dare un lieto fine alla storia. Le quasi due ore di film vanno comunque giù come un bicchiere d’acqua e funziona tutto perfettamente grazie ad una sceneggiatura ricca di inventiva e ad un cast che ci mette cuore e anima. Mortensen è mastodontico.