Orfani: Juric n. 1 – Il Fiore del Male – Recensione

Pubblicato il 22 Ottobre 2016 alle 17:23

Jsana Juric, la sociologa divenuta Presidente del Governo Straordinario di Crisi, la donna che ha salvato l’umanità, è stata uccisa dalla Mocciosa. Ora tocca al biografo Emile Bogdan ricostruire il passato di una figura umana e politica così controversa. Immigrata rimasta orfana in giovanissima età, Jsana è stata adottata e cresciuta da Sandor Kozma, presidente di un’associazione umanitaria con il quale ha allacciato una relazione morbosa.

Piuttosto che una quarta stagione di Orfani, la nuova miniserie di tre numeri dedicata ad Jsana Juric si può definire uno spin-off. Roberto Recchioni, creatore della componente testuale della serie, si fa affiancare qui da Paola Barbato, già sua collaboratrice sulle pagine di Dylan Dog. La sceneggiatrice milanese è sempre straordinaria nel delineare profili psicologici complessi, talvolta contorti, e il suo apporto alla caratterizzazione della Juric è evidente.

Questo primo numero mantiene alcune delle peculiarità della serie ma denota anche alcune evidenti novità. Siamo sempre di fronte ad una storia di orfani e si torna ancora, seppur in minima parte, al tema dell’immigrazione. Rispetto alle prime tre stagioni, tuttavia, la vicenda è del tutto priva di action o di sequenze astratte (ad esclusione di un breve incubo della protagonista). E’ tutto ancorato ad un contesto realistico e a dinamiche intimiste.

Il prologo e l’epilogo in bianco e nero, disegnati da Andrea Accardi, si svolgono nel presente della continuity della saga e iniziano a delineare la nuova situazione politica. Il lungo flashback che si divide tra l’infanzia e l’adolescenza della protagonista è invece illustrato da Roberto De Angelis con i colori di José Andres Mossa. Particolarmente efficace il contrasto tra l’ariosa splash-page panoramica degli immigrati in viaggio e, due tavole dopo, le opprimenti vignette verticali con gli stessi stipati nel doppio fondo di un camion.

La sceneggiatura della Barbato è ordinata e rigorosa a riflettere la severa educazione di Jsana per mano di Sandor Kozma col quale condivide un atteggiamento disempatico e cinico nei confronti dei più deboli come dimostrano le prime interrelazioni con gli altri orfani. Il contrasto tra l’elevata posizione sociale dell’uomo e il suo estremo fanatismo religioso si evince anche dalle scenografie. Le sue stanze all’interno dell’orfanotrofio, infatti, sono tanto aristocratiche quanto austere.

Il rapporto morboso ed ambiguo tra padre e figlia adottiva è più sfaccettato e complicato di quanto appaia. Lui la idealizza, vuole santificarla e cucirle addosso una maschera di perfezione che cela, naturalmente, l’ipocrisia dei meschini intrallazzi politici. Lei cerca invano un gesto d’affetto da parte del genitore ed inizia ad assumere un atteggiamento provocatorio che sfocerà in perversione nell’immancabile pugno allo stomaco finale.

La transizione della Juric da un’infanzia innocente che le è stata strappata a donna glaciale, distaccata ed arrivista è sintetizzata dalla cover di Massimo Carnevale nella quale Barbara Ciardo scalda la giovane Jsana con un rosso fiammeggiante e getta una glaciale ombra violacea sulla sua controparte adulta.

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