Festival di Roma: Recensione – Manchester by the Sea

Pubblicato il 14 Ottobre 2016 alle 14:31

Celebre per le sceneggiature di Terapia e Pallottole Gangs of New York, Kenneth Lonergan delizia il Festival di Roma con il suo terzo lungometraggio.

Dopo il buon Conta su di Me e il meno buono Margaret, Kenneth Lonergan dirige Casey Affleck in quello che potremmo definire un dramma spiritoso o una commedia molto agrodolce.

È difficile stabilire con certezza a quale dei due generi appartenga di più Manchester by the Sea. Quel che è certo è che si tratta di una pellicola brillante e suggestiva, capace di tantissime cose diverse.

Per prima cosa è un palcoscenico per il talento di Casey Affleck, che prima d’ora non aveva mai brillato così intensamente. Nei panni di Lee Chandler, il fratello minore di Batman ci fa ridere e piangere allo stesso tempo, mantenendo sempre la stessa espressione: riderà una sola volta, e piangerà una sola volta, e la freschezza della pellicola sarà anche merito della sceneggiatura di Lonergan, ma essendo il personaggio di Affleck presente in quasi tutte le scene, il film non  avrebbe retto a una prestazione sotto tono del protagonista.

In breve, la pellicola racconta la storia di un uomo solo, spezzato da una tragedia terribile accadutagli anni prima, che oggi non riesce più a rapportarsi con gli altri. Un giorno suo fratello maggiore (interpretato da Kyle Chandler, che coincidenza ha lo stesso cognome del personaggio che interpreta, Joe Chandler), malato di cuore, viene a mancare per un arresto cardiaco e Lee sarà chiamato a prendersi cura del nipote adolescente, trasferendosi di nuovo nella città in cui ha vissuto la sopracitata tragedia.

La cosa strana di questo film è che, davvero, è difficile parlarne o valutarlo secondo i canoni della commedia o secondo quelli del dramma: è un mix perfetto fra i due generi, che si fondono in una scena dopo l’altra (o si lasciano spazio a vicenda, per meglio dire) con lo scopo di raffigurare al meglio uno spaccato di vita.

E in questo il film funziona alla perfezione, con un montaggio eccellente che alterna continuamente e senza preavviso passato e presente, gioia e tormento.

In particolare, durante la scena della lettura del testamento si ha il picco drammatico, con Lee che rievoca a tozzi e bocconi, quasi che stesse soffocando, i tragici frammenti del momento in cui la sua vita è finita. E anche a noi sembrerà di soffocare, stretti da ingombranti e liquidi nodi alla gola, in svariati momenti del film.

Così come, in altrettanti momenti, non riusciremo a smettere di ridere: l’apatia emotiva nella quale Lee si trova oggi andrà a scontrarsi con la frenesia del nipote adolescente (Lucas Hedges) e questo scontro il più delle volte andrà a sfociare in scambi di battute esilaranti.

La regia, che pur regala qualche immagine splendida, magari non brillerà per originalità e non godrà dei virtuosismi barocchi che tanto piacciono alla critica, ma è assolutamente pulita e si intona alla grande con le atmosfere del film.

La colonna sonora è un’altra altalena di emozioni: fra violini, pianoforte e cori sa quando accompagnare una determinata scena senza farsi mai notare troppo, quando prendersi i suoi spazi o quando farsi da parte per aumentare la drammaticità di un singolo momento.

Se siano i toni drammatici a rendere più divertenti i toni da commedia, o se i toni da commedia risultino così vincenti proprio per la loro capacità di stemperare i toni drammatici, in fin dei conti è una questione di poca importanza.

L’unica cosa che conta è che Manchester by the Sea è perfetto sotto tutti i punti di vista, eccetto uno: dopo un po’ finisce.

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